Il Bel Paese, PNRR, economia civile politica industriale per uscire dal lungo declino

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29 Agosto 2021

Il Pil italiano è caduto con la pandemia nel 2020 dell’8,9 %. Si è perso quasi un milione di posti di lavoro ed in autunno la situazione potrebbe aggravarsi con lo sblocco dei licenziamenti. L’ indice Istat della produzione industriale, nel febbraio 2021, è tornato al livello del 2016. È possibile una ripresa ridando fiato al Paese cambiando paradigma economico, riducendo gli squilibri territoriali, di genere e di generazione?  I governi Conte e Draghi hanno investito 180 miliardi di euro a sostegno di imprese e famiglie, interrompendo una politica di austerità e conseguente recessione. Un limite si può ravvisare però in questi interventi ” a pioggia”: non aver individuato i settori da rilanciare alla luce di una politica industriale. Alle imprese non sono state poste condizionalità legate alla qualità dello sviluppo. Sarebbe necessario definire invece gli obiettivi, orientare gli investimenti, organizzare nuovi mercati. Anche nel Governo Draghi la politica industriale risulta assente. Ad esempio, la ” bussola digitale” della Commissione europea impone di investire in grandi imprese che operano nelle tecnologie della informazione e comunicazione (ICT). Troppo grande è il divario con Usa e Cina. Il PNRR sembra intervenire nel sistema economico senza un quadro di politica industriale. Dobbiamo approfittare della sospensione del Patto di stabilità e crescita e del divieto degli aiuti di Stato per orientare gli investimenti nella produzione dei beni considerati essenziali dalla Commissione europea e nel campo delle nuove tecnologie in vista di una maggiore autonomia. Si intravvede un cambiamento di rotta ma gli interventi sono generici e frammentati. Una giusta transizione ecologica e digitale europea impone di ripensare il Green New Deal. L’assenza di una politica industriale in Italia è ancora più grave considerando le enormi risorse del Next Generation EU. Vengono fatti interventi ad hoc senza rimediare ai danni prodotti dalle privatizzazioni non intelligenti. Si intravvede invece una ” rivoluzione verde” con i 14 miliardi di ecobonus e con i 6 miliardi per le energie rinnovabili. Tuttavia il PNRR prevede riforme importanti nel campo della giustizia, della concorrenza, del fisco, della semplificazione della burocrazia per favorire gli investimenti ma in assenza di una vera politica industriale. Manca ad esempio un coinvolgimento nella governance del Pnrr del sistema delle imprese, del mondo del Terzo Settore e delle imprese di economia civile, circolare di comunione, al fine della crescita della capacità dimensionale, delle reti e delle alleanze. Le attività economiche in mano pubblica potrebbero essere orientate verso una politica industriale mediante una agenzia per gli investimenti pubblici, una holding pubblica che concentri le partecipazioni in grandi imprese come Enel ed Eni e le orienti verso missioni strategiche, come indicato dal Forum Disuguaglianze e Diversità. Una terza iniziativa potrebbe essere la costituzione di una Banca pubblica d’investimento in grado di orientare gli interventi in settori strategici. Per uscire dal lungo declino occorre ricostruire con questa visione e con interventi strutturali. Occorre ripensare l’Italia dopo la pandemia perché sia più giusta, sostenibile ed in salute. Dobbiamo realizzare nuove produzioni nazionali e creare occupazione di qualità. Il Bel Paese è fragile. È necessario spendere bene gli oltre 200 miliardi del PNRR per cogliere tutte le sue opportunità attraverso una visione di Paese, affermano A. Coppola, A. Lanzani, G. Pessina, docenti di Urbanistica del Politecnico di Milano. Fondamentale è ripartire allora dai territori, lottare contro le disuguaglianze per evitare altre crisi epocali dopo il 2008 e il 2020. Il Recovery Fund può essere uno strumento formidabile per trasformare i luoghi di vita, lavoro, welfare, ambiente di tutti noi nei diversi territori del Paese. Le missioni strategiche puntano, ad esempio, a rafforzare le infrastrutture sociali come scuola, salute territoriale, sport. È rilevante la scelta di investire nella rete ferroviaria e nella mobilità dolce ma bisogna potenziare non solo l’alta velocità. Il vero nodo da sciogliere è però quello della riduzione delle gravi disuguaglianze territoriali, di genere e di generazioni. Qui occorre una svolta a favore di Sud, aree interne, giovani e donne. Alto è il rischio che la transizione ecologica venga egemonizzata, in assenza di controlli, da enti influenti nel settore energetico e che lobby ben note condizionino misure specifiche alla luce dell’alta frammentazione sociale. Abbiamo già notato una scarsa trasparenza nella elaborazione del Piano, giustificata dai tempi stretti. Ora è urgente una forte partecipazione della società civile e dei parlamentari e sindaci nelle diverse città e regioni, per indirizzare e monitorare la fase di attuazione dei singoli progetti in ogni territorio. Attraverso una visione dei territori al futuro avremo una trasformazione del sistema economico e sociale e l’uscita dal declino iniziato negli anni Novanta. Non possiamo permetterci opere inutili di una nuova Cassa del Mezzogiorno. Serve politica industriale seria insieme a trasporti, scuole nuove adatte al post pandemia, interventi integrati sui sistemi fluviali, forestali e sull’edificato. In questo caso, accanto ad un nuovo housing sociale per giovani, anziani soli e soggetti fragili, a partire dalle zone sismiche, bisogna pensare anche a demolizioni e ricostruzioni. (Cf. Ricomporre i divari: politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Il Mulino). Gruppi interdisciplinari dovrebbero supportare pertanto la progettazione territoriale soprattutto per Comuni senza risorse adeguate. Importante è la partecipazione di Università locali, attori sociali, Fondazioni, mondo delle imprese di economia civile, circolare e di comunione in coprogettazione. Ci aspettiamo una governance condivisa con uno Stato che non solo impone ma accompagna e si apre al Terzo Settore ed alle amministrazioni locali. Il PNRR deve, in conclusione, attivare anche una politica industriale ed interventi intelligenti nei singoli territori con i loro talenti e fragilità.

Silvio Minnetti

Socio Aipec
Presidente nazionale del Movimento politico per l’unità