Domenico Fioravanti

testimoni-di-vita
1 Gennaio 2020

Il politico, per lui, era colui che sa guardare lontano, che sa “sognare” e che sa poi lavorare per dare forma a questi sogni.
(dal racconto di sua figlia Clara)

Domenico Fioravanti è nato a Camerata Nuova il 13 giugno del 1938. E’ stato maresciallo della Guardia di Finanza e appassionato militante politico a Trento. Riportiamo qui sotto quanto ha detto la figlia Clara ad un gruppo di parlamentari italiani per presentarlo.

“Il mio papà ha vissuto l’impegno politico da cittadino, da appassionato militante in un partito, da funzionario pubblico nella Guardia di Finanza e da rappresentante dei genitori negli organi di rappresentanza della scuola mia e delle mie sorelle.

È partito per il Paradiso due mesi fa, il 14 settembre. Si viveva insieme la frase del Vangelo che dice: “Comportatevi da cittadini degni del Vangelo”. Ripensando alla vita di papà, mi rendo conto che ha incarnato davvero questa Parola del Vangelo.

Fin da bambino aveva iniziato ad interessarsi alla politica, cercando sempre di capire, di andare a fondo delle cose. Nato in una famiglia povera, sentiva che la politica doveva occuparsi per prima cosa degli ultimi, di coloro che non hanno privilegi, di coloro che lottano per vivere una vita dignitosa. Così, aveva fatto la sua scelta di campo, schierandosi con chi gli sembrava animato da un interesse per gli ultimi genuino, e non solo demagogico.

Più avanti, si è arruolato nella Guardia di Finanza, e anche in quel mondo, spesso così difficile, è riuscito a comportarsi sempre da “cittadino degno del Vangelo”. Svolgeva il suo lavoro con un grandissimo rispetto per la legge, ma anche per chi aveva davanti e non si tirava mai indietro davanti a servizi difficili o pericolosi.

Ricordo un episodio che è rimasto incancellabile nella mia mente; ero bambina, avrò avuto cinque anni, e papà ricevette a casa un pacco natalizio da una ditta. Non ricordo cosa contenesse, ma ricordo bene il mio entusiasmo infantile al vedere quanti bei regali ci avevano mandato. Sapevo che i regali erano un segno di stima, di affetto, per cui rimasi stupita quando sentii papà dire a mamma: “Rimandalo indietro”. Papà poi mi spiegò che quel pacco conteneva regali “troppo grossi” che non erano certo un segno di stima, ma il tentativo di corromperlo. Questo era papà: rigoroso e inflessibile (…): molti direttori di aziende, stupiti dalla sua calma, dalla sua cortesia, dal rispetto che mostrava loro, gli chiedevano, finita la verifica, perché si comportasse così, e perché non approfittasse della situazione per ottenere un prezzo di favore o della merce in regalo….

Il suo rispetto andava a tutti, anche a coloro che avevano infranto la legge. Questo era fortissimo in lui: anche quando doveva perquisire una casa, o quando doveva arrestare qualcuno, cercava di farlo comunque con rispetto. Riprendeva i colleghi che mettevano a soqquadro armadi e cassetti e usavano manette e modi bruschi con i sospettati, spaventando loro e le famiglie.

Lo stesso rispetto caratterizzava anche il suo agire nei confronti dei superiori, dai quali esigeva però coerenza e trasparenza: una volta aveva ricevuto per telefono un ordine che non condivideva e si rifiutò di adempierlo finché non fosse arrivato per iscritto . L’ordine non arrivò e lui non lo eseguì. Nel giro di pochi giorni però arrivò un ordine di trasferimento.

In quel periodo –credo fosse la metà degli anni ottanta – papà lavorava nella sezione idrocarburi, nella quale era espertissimo, avendo partecipato anche alle indagini relative allo scandalo dei petroli. Da lì fu mandato alla sezione verifiche, con nuovi colleghi e nuovissime mansioni: arrivava da maresciallo ma avrebbe dovuto imparare tutto dal più giovane brigadiere. Seppe adattarsi senza drammi alla situazione, con impegno ed umiltà.

A distanza di anni ci raccontava questo episodio quando le situazioni della vita ci mettevano davanti a sconfitte apparentemente senza senso: lui si era adattato a dover imparare le verifiche dall’abc senza fermarsi alla delusione per l’ingiustizia, e questo gli era stato poi di grande aiuto anni dopo quando, una volta trasferiti a Trento da Roma, ha continuato a lavorare nello stesso ambito, nel quale ormai era diventato esperto.

Questo suo modo di agire, naturalmente, lo ha anche messo in pericolo; una volta durante un servizio particolarmente delicato, aveva ricevuto delle minacce. In particolare, queste persone avevano fatto capire che ci pedinavano e che avrebbero potuto far del male a noi tre figlie. La famiglia era tutto per papà; nonostante questo, ha continuato il suo lavoro. A noi non ha detto nulla, limitandosi a raccomandare alla mamma di non farci uscire da sole “perché ci sono le macchine”.

La stessa “purezza di cuore” papà la cercava nella politica, della quale aveva un concetto molto alto: il politico, per lui, era colui che sa guardare lontano, che sa “sognare” e che sa poi lavorare per dare forma a questi sogni. Per essere un politico non basta, secondo lui, limitarsi all’oggi, al lavoro burocratico, no, bisogna guardare avanti e fare progetti grandi. Papà seguiva con passione la vita politica nazionale e mondiale, sapeva leggere i segni dei tempi e cercava sulla scena politica qualcuno che avesse queste caratteristiche di lungimiranza e –direi- di sapienza.

La politica locale lo attraeva un po’ meno; ha sentito tuttavia di doversi impegnare anche lì, proprio perché la lungimiranza, il saper “guardare avanti” possono caratterizzare tutte le realtà, grandi o piccole. Di qui è nato il suo impegno nella sezione circoscrizionale e cittadina del suo partito, nel quale era una voce da mediatore attenta, critica, ma anche propositiva e ricca di buon senso. L’ideale della fraternità, che lo aveva affascinato, lo spingeva a cercare il dialogo con tutti: membri del suo partito e membri di altri partiti, pur rimanendo, come diceva lui “coloratissimo”.

Rimanevano radicate le sue idee, ma prima di esse metteva i suoi interlocutori, e il dialogo con loro. Non si fermava ad attaccare personalmente gli avversari politici, preferiva discutere le idee, magari accalorandosi, ma senza mai scagliarsi contro la persona.

Papà era l’uomo politico che andando per strada salutava il sindaco con la stessa gioia con cui salutava lo spazzino del piazzale dove parcheggiava: questo signore poi salutava noi ragazze dicendoci che papà era uno “in alto”, un politico e una volta gli chiese anche di aiutarlo ad ottenere una promozione. Un’altra volta delle signore anziane che incontrava a messa gli avevano proposto di firmare una petizione al comune: papà non firmò perché non era d’accordo e qualche giorno dopo ha portò loro delle fotocopie con delibere del comune e articoli di giornale per motivare la sua scelta: perché lui cercava la verità e voleva che tutti la cercassero, e che potessero valutarla alla luce dei fatti.

Ora che papà è in Paradiso sentiamo forte di voler portare avanti la sua eredità, fatta di amore per la verità, coerenza e di una vita improntata all’ideale della fraternità/unità. Nel mio lavoro sento sempre più forte l’esigenza di non accontentarmi di soluzioni di comodo, o di chiudere gli occhi davanti ai problemi e –se non posso fare altro – cerco almeno di far sentire la mia voce, mantenendo però il rispetto nei confronti del superiore e dei colleghi. E’ un cammino non facile, che porta anche a delle sconfitte (almeno secondo la logica umana), ma siamo però certe che è la via che papà ci indica per diventare anche noi“cittadine degne del Vangelo”.