Il Movimento dei Focolari nei suoi aspetti politico e sociale – Strasburgo

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15 Settembre 1998

Conversazione tenuta a Strasburgo al gruppo del PPE il 15 settembre 1998

Onorevoli parlamentari,

ringrazio il Presidente Wilfried Martens e l’onorevole Carlo Casini della possibilità che mi è stata data di rivolgere loro qualche parola che spero gradita. Mi soffermerò anzitutto, un momento, su quella vasta realtà religiosa e sociale che rappresento: il Movimento dei Focolari. Solo su questa base, infatti, potrò presentare loro quei suoi aspetti che maggiormente li possono interessare. Questo Movimento si può vedere sotto diversi punti di vista: da quello spirituale a quello apostolico, da quello caritativo e sociale a quello culturale, da quello ecumenico a quello interreligioso, e altri. Recentemente in esso hanno iniziato a svilupparsi due nuovi campi: quello politico e quello sociale con la cosiddetta «Economia di Comunione» nella libertà.

Il Movimento dei Focolari è nato nella Chiesa cattolica, a Trento (Italia), più di cinquant’anni fa. Vi aderiscono ora anche cristiani di 300 altre Chiese, fedeli delle più importanti religioni e uomini e donne di buona volontà. Conta alcuni milioni di persone di ogni razza, lingua, nazione, sparse nel mondo intero, in 182 Paesi. Il suo stile di vita è prettamente evangelico. Il suo scopo è contribuire a realizzare il Testamento di Gesù: «Padre ( … ) che tutti siano una cosa sola come io e te». In pratica: a concorrere a fare dell’umanità una sola famiglia.  Esso cerca di raggiungere quest’altissimo fine attraverso vari dialoghi. La sua spiritualità, la spiritualità dell’unità, è attuale e moderna: ispirandosi fondamentalmente a principi cristiani – senza trascurare, anzi evidenziando, valori paralleli in altre fedi e culture – ha portato in questo mondo amore, unità e pace. Non è vissuta soltanto singolarmente, ma insieme, da più persone. Ha, infatti, una spiccata dimensione comunitaria. Affonda le sue radici in alcune parole contenute nel Vangelo, che si inanellano l’una nell’ altra.

Anzitutto la spiritualità dell’unità suppone una profonda considerazione di Dio per quello che è: Amore, Padre. Come si potrebbe, infatti, avere la visione dell’umanità come di una sola famiglia, senza la presenza di un Padre per tutti? Credere al Suo amore è l’imperativo di questa nuova spiritualità, il suo punto di partenza; credere che siamo amati da Lui personalmente e comunitariamente. Egli, infatti, ci conosce nel più intimo, segue ognuno di noi in ogni particolare. «Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati», dice il Vangelo. E non lascia alla sola iniziativa degli uomini il progredire della società, ma se ne prende cura. Credere all’amore di Dio. E, fra le mille possibilità che l’esistenza offre, guardare a Lui come Ideale della vita. Ma non basta credere all’amore di Dio. La presenza e la premura di un Padre chiama ognuno ad essere figlio, a rispondere a quel particolare disegno d’amore che Egli ha su ciascuno di noi, ad attuare cioè la Sua volontà. E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli si trattino da fratelli, si amino; pratichino quella che può definirsi «l’arte di amare» che emerge dal Nuovo Testamento. Essa vuole che si ami tutti senza discriminazioni; che si ami per primi, senza attendere amore dagli altri; che si ami ognuno.

Domanda di far propri i pensieri, i pesi, le sofferenze e le gioie dei fratelli. Vuole che si amino persino i nemici. E dove quest’amore si vive radicalmente, la gente ne è meravigliata, vuole sapere, ed è trascinata a fare altrettanto. Nasce la rivoluzione dell’amore. Ma, se questo amore è vissuto da più persone, diventa reciproco. E Cristo ha lasciato proprio come norma: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». Egli sapeva che questo amore era necessario perché nel mondo si formi quella famiglia umana universale, che supera il concetto di società internazionale; famiglia universale dove i rapporti tra persone, gruppi, popoli, sono tali da abbattere divisioni e barriere di ogni tipo, in ogni epoca. Lo si sa che chiunque, da solo, si accinga oggi a «spostare le montagne» dell’indifferenza, se non dell’odio e della violenza, ha un compito immane e pesante. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell’amore scambievole, della comprensione reciproca, dell’unità, il movente essenziale della vita. E perché questo? C’è un perché. Un elemento di questa nuova spiritualità, preziosissimo, conseguente all’amore reciproco, annunciato anch’esso dal Vangelo, dice: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»  Cristo stesso è presente fra loro e quindi in ciascuno di loro. E quale possibilità superiore può esistere per coloro che vogliono essere strumento di fraternità e di unità? Questo amore reciproco, questa unità, che tanta gioia dà a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio. E qui appare, per i cristiani, in tutta la sua luminosità e drammaticità, quella parola che il mondo non vuole sentir pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso: croce. L’accettarla, il saperla portare è essenziale per questa spiritualità.

Non si fa nulla di fecondo al mondo senza voler portare la croce. Attualmente uomini e donne di quasi tutte le nazioni del mondo, lentamente ma decisamente vogliono essere, almeno là dove si trovano, espressione di un popolo nuovo, di un mondo più solidale soprattutto verso i più piccoli, i più poveri, di un mondo più unito. Questa spiritualità è quell’humus nel quale si formano tutte le persone del Movimento, anche quelle dedite alle attività politiche e sociali. Senza questo humus gli obiettivi che ci proponiamo sono difficilmente realizzabili. Ha detto Giovanni Paolo II: «… non c’è rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione. L’incontro con Dio (… ) immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce (… ) al rinnovamento e (… ), diventa una forza storica di trasformazione delle strutture sociali»

E veniamo all’aspetto più politico di quest’Opera.

Fin dall’inizio il nostro Movimento ha riservato particolare attenzione al mondo della politica. Esso ci offriva la possibilità di amare il prossimo, in un crescendo di carità: dall’amore interpersonale ad un amore più grande verso la polis. E già nel 1959, in un nostro convegno, era risuonato questo messaggio: «È arrivato il momento di amare la patria altrui come la propria». Oggi, infatti, la più alta dignità per l’umanità sarebbe quella di sentirsi non tanto un insieme di popoli l’uno accanto all’altro, spesso in lotta tra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, abbellito della diversità di ognuno e custode delle differenti identità. Questa politica guidata dall’amore poteva naturalmente apparire a noi stessi un “sogno” e agli altri un’utopia. Ma l’esperienza da noi fatta sta a dimostrare il contrario. Nel maggio 1996 a Napoli (Italia), dai “nostri” impegnati in politica nei diversi schieramenti, è nata questa domanda: come, partendo da posizioni diverse o addirittura contrapposte, si può puntare all’unità? E si è data una risposta. Mettere in pratica, a base di tutto, l’amore reciproco, come raccomanda Pietro alle prime comunità cristiane: «Anzitutto conservate tra voi una grande carità». Poi essere militanti di parte. E ciò non certo per formare un altro unico partito, ma piuttosto per essere disposti, in piena lealtà alle proprie appartenenze politiche, a comprendere le ragioni l’uno dell’altro in uno spirito di unità; uno spirito d’unità che agisca non solo eccezionalmente, ma viva come norma fondamentale e continua per la politica di ciascun popolo e della scena internazionale; uno spirito d’unità che aiuti a prendere posizioni comuni onde salvaguardare i valori dell’uomo. Quel giorno, a Napoli, è nato il «Movimento dell’Unità». Esso ha incominciato a svilupparsi in tutta Italia. Sono più di 200 le persone elette (dai consigli comunali al Parlamento nazionale), sia nelle maggioranze che all’opposizione; e un migliaio circa sono quelle impegnate in partiti diversi. Ma non ci si è fermati in Italia. Il «Movimento dell’Unità» sta ora fiorendo nel resto dell’Europa, nelle Filippine, come anche in Argentina e Brasile, e già dà i suoi primi frutti. Infatti, durante il mio recente viaggio in Sud-America, a maggio, in Brasile, si è parlato per la prima volta del «Movimento e dell’Unità» ad un gruppo di politici non italiani. E, con quell’incontro, l’unità tra politici di partiti diversi ha iniziato ad estendersi a politici di nazioni diverse. Con tutto il Movimento cerchiamo contemporaneamente di far sviluppare alla base «germi di un popolo nuovo», incamminato verso quel mondo più unito che ogni giorno di più è reclamato dai “segni” di questi tempi.

Ed ora l’aspetto sociale.

Seguendo le linee di vita evangelica suddette, si è cercato d’attuare, fin dagli inizi del Movimento, la comunione dei beni, sull’esempio di quella praticata dalla primitiva comunità di Gerusalemme. C’è chi la fa in modo completo: sono le persone totalmente dedite al Movimento, che danno l’intero loro guadagno e consegnano gli eventuali beni, con testamento, in favore dei poveri. Gli altri donano il soprappiù. L’aspetto sociale del Movimento si esprime anche in opere concrete, consistenti (750 circa nel mondo), che vogliono essere testimonianza dell’amore ai fratelli, perché si realizzi fra molti l’unità. Ma tipica del nostro Movimento è la cosiddetta «Economia di Comunione» nella libertà, naturalmente, nata in Brasile nel 1991. Il Movimento, presente in quella nazione sin dal 1958, si è diffuso in ogni suo stato, attraendo persone di tutte le categorie sociali. Da qualche anno però, ‘mi ero resa conto che – data la sua forte crescita (siamo lì circa 250.000 persone) – non riuscivamo a coprire neanche i più urgenti bisogni di nostri membri, nonostante una viva comunione dei beni. Mi è sembrato, allora, che Dio chiamasse il nostro Movimento a qualcosa di nuovo. Pur non essendo esperta in problemi economici, ho pensato che, per poter aumentare le entrate, si potevano far nascere fra i nostri delle aziende, delle imprese. La loro gestione doveva essere affidata a persone competenti, in grado di farle funzionare efficacemente e ricavarne degli utili. Questi – e qui sta la novità – dovevano essere messi in comune: una parte, certo, per incrementare l’azienda, vista come comunità di lavoro; una parte per aiutare coloro che sono nel bisogno e dar loro da vivere, finché abbiano trovato una fonte di sostentamento; e, infine, un’altra parte per sviluppare strutture di formazione per «uomini nuovi» (come li chiama l’apostolo Paolo), cioè persone formate e animate dall’amore, atte a quella che chiamiamo la «cultura del dare». E, nelle nostre cittadelle di testimonianza (ne abbiamo una ventina nel mondo), sarebbe dovuto sorgere un vero settore imprenditoriale.

L’idea è stata colta con entusiasmo non solo in Brasile e nell’ America Latina, ma in Europa e in altre parti del mondo. Molte aziende sono nate, e molte si sono trasformate secondo i canoni dell’Economia di Comunione. È questo un agire economico che – pur attuandosi all’interno del sistema economico vigente – va in direzione opposta ai criteri fondamentali dell’economia, quale oggi è per lo più pensata. Viene proposta agli imprenditori una nuova linea di conduzione dell’impresa, che mette in atto atteggiamenti che si ispirano alla nostra spiritualità. Essa richiede di rimettere al centro l’uomo ed i rapporti interpersonali, evitando comportamenti contrari all’ amore evangelico; domanda la valorizzazione dei dipendenti attraverso il loro coinvolgimento nella gestione. Va poi rispettata l’etica nei rapporti con i clienti, i fornitori, la pubblica amministrazione, quindi la legalità. Va riservata attenzione all’ambiente di lavoro ed al rispetto della natura. Va favorita la collaborazione con altre realtà aziendali e sociali, ecc. Non bisogna inoltre dimenticare di lasciare spazio all’intervento di Dio, alla sua Provvidenza, anche nel concreto operare economico: un introito inatteso, una geniale soluzione tecnica, l’idea di un nuovo prodotto vincente … A tale progetto hanno già aderito 622 aziende e 125 attività di vario genere. Economisti, sociologi, filosofi approfondiscono questa nuova idea che si sta rivelando una nuova filosofia economica. Questo è un po’ l’Economia di Comunione. Onorevoli parlamentari, ho esposto qualcosa del Movimento dell’Unità e dell’Economia di Comunione, due aspetti del nostro Movimento che si sono sviluppati recentemente. Il Movimento dei Focolari, realizzato con l’aiuto di Dio, ha – come ho detto – altri aspetti ben più ampi e consolidati, che un giorno – penso – potrà essere una gioia per loro conoscere in tutta la loro realtà.

Per ora, ringraziando tutti dell’attenzione, auguro loro ogni bene.

CHIARA LUBICH