La Fraternità nell’orizzonte della città – Trento

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8 Giugno 2001

Signor Presidente del Consiglio,

Signor Sindaco,

Signori Assessori e Consiglieri comunali,

Signora Presidente della Regione,

Signor Presidente della Provincia,

Signori Presidenti dei Consigli Regionali e Provinciali,

Signori Senatori e Deputati,

Autorità civili e religiose,

Sua Eccellenza Commissario del Governo,

carissimi concittadini di Trento,

esprimo anzitutto la gioia nel trovarmi nella mia città natale, che da più anni non visito, ma che ho sempre nel cuore, e ringrazio per l’occasione che mi hanno dato d’essere qui fra loro, Signori, con un compito ben preciso: parlare della fraternità alla luce dell’esperienza e della dottrina del Movimento dei Focolari. Lo faccio molto volentieri e non può essere diversamente, solo se si pensa che la fraternità – uno dei temi che più m’appassiona – è addirittura, per chi è credente, come sono io, il piano di Dio sull’intera umanità. Il messaggio evangelico sottolinea, infatti, in modo del tutto particolare, la fraternità, elevandola nella sfera del divino, per la partecipazione di noi, uomini, alla vita della Santissima Trinità dove Dio Trino, ma Uno, è il modello perfetto e supremo di fraternità.

Ma la fraternità è un principio presente, con accenti sublimi, pure nei sacri libri di molte fra le grandi religioni del mondo, come è presente, perché inscritto nel cuore di ogni uomo, in qualsiasi persona, anche senza un riferimento religioso, purché attenta alla propria coscienza. Cosicché la fraternità consente a tutti gli uomini – e ciò è meraviglioso –, pur nella varietà delle loro culture e fedi, di riconoscersi uguali per l’aspirazione più profonda presente in ciascuno: quella di amare ed essere amato all’interno di una comunità di fratelli. Naturalmente qui mi si chiede di parlare, in particolare, della fraternità nella sua dimensione politica. Si può subito affermare che la fraternità, se è necessaria dovunque, non può non esserlo nella politica. Perciò anche i politici, come tutti, sono chiamati ad impegnarsi a metterla in pratica ed a sentirsi fratelli fra loro, prima della stessa passione per il proprio partito, prima delle scelte che distinguono le diverse opzioni. L’amore fraterno che unisce, dona luce sulle decisioni da prendere e rende più atti a raggiungere il fine della politica stessa: il bene comune. Senza la fraternità, inoltre – come ho detto, il 15 dicembre scorso, ai parlamentari italiani a palazzo San Macuto –, anche il grande progetto politico della modernità, espresso – pur tra luci e ombre – nello slogan della rivoluzione francese, rimane incompiuto.

Costatiamo, invero, che se, in seguito, l’uguaglianza e la libertà sono state, in certo modo, perseguite, non così la fraternità. Anzi, è solo nella fraternità che le stesse libertà e uguaglianza possono trovare piena realizzazione. La fraternità è il contributo specifico che offre quella diramazione politica del Movimento dei Focolari, che è il «Movimento dell’Unità”. Esso, nato a Napoli nel 1996, sta ora diffondendosi e organizzandosi in tutto il mondo. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini. La genesi e lo sviluppo del “Movimento dell’Unità” è nota. Ne ho parlato più volte anch’io: oltre che – come già detto – ai  parlamentari italiani, nel 1997, all’ONU, in un vasto convegno internazionale; nel 1998, a Strasburgo, a parlamentari del Partito Popolare Europeo; e, più recentemente, in un Congresso mondiale nel giugno 2000. Tuttavia penso che non si possa non illustrarne almeno qualche particolare per coloro che non ne fossero a conoscenza. Si può parlare del “Movimento dell’Unità” e comprenderlo esattamente, solo ritornando al ceppo da cui è fiorito e di cui è un’espressione: il Movimento dei Focolari appunto, che in questi giorni vado descrivendo in vari modi, in diverse occasioni. È esso una realtà ecclesiale, effetto e frutto non solamente di forze umane, ma, principalmente, di un carisma, cioè di un dono dello Spirito che segue la storia e le offre, di epoca in epoca, aiuti particolari secondo i bisogni. Carisma che vuol portare quest’Opera – considerata quindi dalla Chiesa Opera di Dio – alla piena realizzazione, fra tutti i cristiani, del “sogno d’un Dio” come dicono i nostri giovani: l’unità; «Padre, che tutti siano uno» (cf. Gv 17, 21) ha pregato Gesù, allargandola alla fratellanza universale, poiché Cristo è morto per tutti. Il Movimento dei Focolari fa ciò attraverso la pratica dell’amore evangelico o l’obbedienza alla coscienza, che suggerisce anch’esso un atteggiamento di benevolenza verso i fratelli, in coloro che fossero di altre culture. Amore, in ambo i casi – come ho avuto già occasione di spiegare –, assai esigente, non come il semplice affetto umano, limitato spesso ai soli parenti od amici. Amore che richiede di amare tutti senza distinzione, di essere disposti a compiere il primo passo, cioè di avere noi l’iniziativa. Amore che domanda di spostare le proprie preoccupazioni per far posto a quelle degli altri, onde comprenderli fino in fondo ed aiutarli concretamente. Amore, infine, che è sempre finalizzato alla reciprocità, all’amarsi a vicenda.

È quest’amore con tali qualità, è questa fraternità, generata dall’amore degli uni verso gli altri, che il Movimento dei Focolari vive e irradia dovunque. Movimento dei Focolari però che, pur essendo fondamentalmente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi su su durante gli anni, un’attenzione particolare al mondo politico, da quando l’on. Igino Giordani, personalità di vasta esperienza culturale, sociale e politica, combattente nelle stagioni difficili del primo dopoguerra, ne è divenuto confondatore. Egli ha portato nel nostro cuore l’umanità con i suoi problemi e le sue ansie: la ricostruzione del Paese e dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia nascente, la divisione Est-Ovest. E il fatto che oggi, con De Gasperi e La Pira, è avviato anch’egli agli onori degli altari, dice molto di lui, del suo valore morale, della sua tensione alla perfezione in ogni ambito. Ben presto attorno a Giordani si è raccolto un discreto gruppo di deputati che hanno cercato di portare il nostro spirito – per quanto allora si era precisato ed approfondito – in parlamento, gruppo che dal 1950 ad oggi ha visto cambiare i propri membri i quali, da un certo momento in poi, appartenevano anche a partiti diversi.

Altra presenza politica notevole fra noi è stata quella di Alcide De Gasperi stesso, nel quale la nostra spiritualità ha rafforzato quella vocazione all’unità che, assieme ad Adenauer e a Schuman, lo ha fatto fondatore dell’Europa Unita. I nostri politici costituirono, in seguito, nel 1959, il “Centro santa Caterina” che fu, per quasi dieci anni, il punto di convergenza delle loro ansie e preoccupazioni ed il punto di partenza delle loro attività, rinnovati nello spirito dell’unità. Intanto, sviluppandosi il Movimento dei Focolari dapprima in Italia, poi in Europa e, più tardi ancora, in tutto il mondo, iniziava a formarsi un vero e proprio popolo, il popolo dell’unità, che conta oggi circa 7 milioni di persone: gente di ogni cultura, professione, Paese. E, se fin dai primi tempi si è sempre avuta la consapevolezza che il carisma dell’unità è portatore di una cultura propria, è stato il crescere di questo popolo, che ha evidenziato la specificità di questa cultura, rendendone necessario l’approfondimento dottrinale: teologico, ma anche filosofico, politico, economico, psicologico, artistico, ecc. Come novità, poi, di questi ultimi tempi, ecco che l’incontro, tra il popolo dell’unità e la sua dottrina, ha provocato quelle che noi chiamiamo “inondazioni”, termine suggeritoci da san Giovanni Crisostomo: lo svilupparsi, cioè, di veri e propri nuovi movimenti, in particolare nel campo economico, con il progetto dell’Economia di Comunione, e in quello politico, con il “Movimento dell’Unità”, attuale diramazione politica del Movimento dei Focolari.

Il “Movimento dell’Unità” è portatore dunque di una nuova cultura politica. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i propri, ma anche gli altri politici, vive in comunione con tutti. Fa questo nei parlamenti nazionali e regionali, nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica. E l’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti tra gli Stati. Lo scopo specifico, quindi, del “Movimento dell’Unità” è: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; in quella, credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e, solo dopo, muoversi nell’azione politica. Non si tratta quindi di un nuovo partito. Ma oggi, parlando davanti a questo consesso cittadino, viene spontaneo chiedersi: che cosa significa e comporta l’ideale della fraternità per la vita della città? Esso non si aggiunge dall’esterno alla riflessione e alla pratica politica, ma si può considerare come il frutto maturo del percorso plurimillenario della politica, l’anima con la quale affrontare i problemi di oggi. Noi sappiamo, infatti, che anche oggi ci sono cittadini per i quali la città è come non esistesse, cittadini per i cui problemi le soluzioni cercano con difficoltà le risposte.

C’è anche chi si sente escluso dal tessuto sociale e separato dal corpo politico, a causa della mancanza di lavoro, o di casa, o della possibilità di curarsi adeguatamente. Sono questi, e molti altri, i problemi che quotidianamente i cittadini pongono a chi ha il governo della città. E la risposta che ricevono è determinante perché anch’essi si sentano a pieno titolo cittadini e avvertano l’esigenza e abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica. E perciò, da questo punto di vista il Comune è la più importante delle istituzioni, perché più vicina alle persone, di cui incontra direttamente tutti i tipi di bisogni. Ma è pure attraverso il rapporto con il Comune, nelle sue varie articolazioni, che il cittadino sviluppa la gratitudine – o il rancore – verso l’insieme delle istituzioni, anche quelle più lontane, quali lo Stato. Nel “Movimento dell’Unità” si è sperimentato che il Comune riesce a rispondere bene alle esigenze dei cittadini se colui che governa, o che in qualche modo ha una responsabilità nell’amministrazione della città, ha, alla base del suo impegno politico, l’esigenza di vivere la fratellanza con tutti, e guarda anche al cittadino come ad un fratello. E si sa che per un fratello i problemi si risolvono più facilmente, perché si pensa e si ripensa al suo problema, si bussa a tutte le porte, si cercano tutte le opportunità, si mettono insieme tutte le risorse; e, infine, quando tutte le forze fossero state impiegate, ci si rivolge, se si ha la fede, pure a Dio perché provveda. Uno degli effetti che la fraternità può produrre nella città è la vera libertà. Se guardiamo alla storia della città, ci rendiamo conto che la città antica è un recinto sacro, che raccoglie e protegge un popolo unito da legami di sangue, di religione, di economia. La fraternità vi è, in certo modo, presente, ma limitata a coloro che stanno all’interno delle mura, che appartengono a questa comunità chiusa.

Questa caratteristica antica è ancora fortemente presente in molte città: nel positivo essa ne sottolinea la tradizione, l’identità, la missione. In negativo, la rende diffidente nei confronti del nuovo, degli stranieri, degli immigrati, di chi, per cultura, razza, religione, è diverso dagli abitanti originari. La libertà, nella piccola città chiusa, è una libertà “in”, basata sull’appartenenza, che esclude gli estranei. All’alba della modernità cominciano a sorgere nuove istituzioni politiche cittadine attraverso la libera scelta di persone che si associano. È un fenomeno politico nuovo e importante, che sottolinea non tanto la tradizione, cioè il passato, quanto il progetto, cioè il futuro. L’istituzione comunale contiene così un principio di universalità, che fiorirà nei secoli successivi, e che arriva fino alle metropoli multietniche dei nostri giorni. In positivo, è da sottolineare l’apertura, che ammette a far parte della città chiunque abbia la buona volontà di inserirsi nella sua vita e di partecipare alle sue attività. In negativo, la città oggi corre il rischio di non essere più una comunità, ma di ridursi ad un “agglomerato urbano”, nel quale ciascuno, nell’indifferenza di tutti, può dedicarsi ai propri interessi e, qualcuno, ai propri traffici. In questo caso, vi regna una libertà negativa, una libertà “da” ogni vincolo di vera appartenenza, dove l’altro non è il fratello, non ha volto, è solo un individuo.

Ora vogliamo chiederci: potranno un giorno queste due libertà, caratteristiche di due diversi tipi di città, essere fuse insieme e creare una nuova concezione della città? Le nostre esperienze – se pensate pure in un possibile sviluppo futuro – sembrano dare una risposta positiva. Lo dicono, ad esempio, le iniziative di membri del “Movimento dell’Unità” volte a creare un rapporto fraterno tra maggioranza e opposizione, sia a livello di Parlamento, sia in alcuni Comuni, iniziative che si sono tradotte in leggi dello Stato o in politiche locali che hanno unito le città nelle quali si sono realizzate. La prima apertura all’altro, infatti, avviene all’interno della città e della nazione, nello stabilire la fraternità tra coloro che, essendo al governo o all’opposizione, hanno compiti diversi, ma entrambi necessari al bene comune. Lo dicono anche le nostre numerose esperienze di accoglienza degli immigrati, che accorrono nel nostro Paese non solo per motivi economici, ma anche politici: una città, una nazione, non perdono, ma guadagnano nell’aprirsi all’altro, come ha fatto capire Trento con la recente festa dei popoli; si alza la loro statura politica nell’offrire una Patria e una cittadinanza a chi l’ha perduta. Lo dicono, ancora, le 20 cittadelle del “Movimento dei Focolari”, presenti nei cinque continenti, configurate sulle prime comunità cristiane, dove le persone, vivendo la più viva e forte fraternità, sono un cuor solo ed un’anima sola ed hanno tutto in comune, sì da non esservi fra loro indigenti. Anche se, per ora, sono prevalentemente animate da motivi spirituali, e non politici, sì da presentarsi come piccole “città celesti” – come direbbe Agostino –, hanno tuttavia degli elementi che le fanno prevedere possibili modelli di moderne città anche terrene. In esse, infatti, persone di tutte le vocazioni civili o religiose, di razze, lingue e culture diverse, famiglie, aziende, scuole, centri artistici, svolgono le loro attività nella gioia, in un clima di famiglia.

Possiedono od hanno in progetto – come essenziale – un polo industriale. Sono presiedute e guidate, per tutti gli aspetti terreni, da una persona che può configurarsi come un sindaco (e così è chiamata), ecc. La vera fraternità che in esse si vive le rende autentiche comunità, ma aperte a tutti. La fraternità, inoltre, può realizzare nella città l’effettiva uguaglianza, che consiste nel creare le condizioni perché ciascuno, cittadino, famiglia, associazione, azienda, scuola, possa esprimere la propria personalità e realizzare la propria vocazione, dando il meglio di sé. Per questo, certamente, sono necessarie, da parte dell’amministrazione, le competenze, le capacità tecniche e manageriali. Ma più in profondità, a chi governa la città si domanda di fermarsi ad ascoltare i cittadini e prendere su di sé i loro problemi. È quell’amore di cui ho parlato all’inizio, quel “farsi uno” con gli altri che, se per noi è fatica, toglie loro parte del peso, e indica la giusta soluzione dei problemi, che non può trascurare il punto di vista di chi li vive. Il governo, in tal modo, non si impone, ma rispetta tutte le identità e tutti i compiti. È agile e flessibile, pronto a cogliere la priorità che si presenta nel momento presente. La città, così, non viene governata dall’alto, ma è sollevata dal basso, e la politica assume il ruolo dello stelo che sostiene il fiorire delle iniziative pensate dai o insieme ai cittadini; diventa vero servizio, unificando verso il bene comune gli sforzi di tutti.

Proseguendo in questa strada, infatti, la fraternità, oltre ad aiutare l’ascolto reciproco e la conoscenza dei bisogni e delle risorse, guida nello studio amoroso della storia civile e religiosa della propria città, nella comprensione del suo patrimonio culturale e associativo. In tal modo si arriva a cogliere, un po’ alla volta, la vera vocazione di una città, all’interno della quale ognuno riceve l’opportunità di vivere la propria e, realizzando se stesso, aiuta lo sviluppo e il bene della città. E, infine, ancora una domanda, che tocca il fondamento stesso della politica: che cosa ci fa cittadini? È un pensiero questo che ci riporta alle origini della riflessione politica, che nasce proprio come riflessione sulla città. Aristotele sostiene che il legame politico che tiene insieme i cittadini è l’amicizia politica, una forma di amicizia che egli chiama anche “concordia”. Essa richiede ad ogni cittadino la capacità di rinunciare ad un utile immediato, e di lavorare per ottenerlo soltanto insieme a tutti gli altri. L’amicizia politica dunque, per Aristotele, crea un “corpo” politico che supera la sfera dell’utilità materiale, e raggiunge la dimensione del “bene”: la politica, infatti, è una attività etica, che richiede a tutti di vivere con giustizia.  Così Aristotele.

Egli però rimane ancora legato ad una concezione limitata dell’amicizia, e dunque della cittadinanza, riservata ai greci e ai liberi, preclusa ai “barbari” e agli schiavi. Dopo di lui, nella storia umana, è con Gesù che la realtà dell’amicizia compie un salto di qualità perché, per Lui, per il dono che ci ha fatto della sua vita, noi, semplici figli degli uomini, possiamo dirci figli di Dio, tutti figli d’un Padre e quindi fratelli fra noi in senso pieno. Perciò Gesù ha potuto dire: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). L’amicizia con Gesù, la figliolanza con Dio Padre, il sapere le sue cose indica una parità nella libertà, con Dio, per partecipazione alla sua vita, e tra gli uomini, radicalmente nuova nella storia. Così nella cultura umana – di chi crede e di chi non crede – è stata introdotta l’idea della dignità assoluta di tutti gli esseri umani, perché possibili fratelli, a conferma di ciò che è inscritto nel DNA d’ognuno. E l’umanità è vista in tal modo come comunità universale.

La fraternità così rende possibile pensare a un bene comune di tutti gli uomini e cioè pensare all’umanità intera in termini politici. Ed è con questa prospettiva che – è ovvio – si possono affrontare anche le sfide che la globalizzazione porta oggi all’interno delle nostre città. È la fraternità che ci realizza pienamente come cittadini, della nostra città e del mondo. Dalla riflessione sulla città sorge dunque quella sull’umanità. Ed è naturale che sia così, perché la città è il luogo dove la fraternità può essere concretamente vissuta, è il luogo particolare dove matura l’universale che è in noi, la nostra umanità. I politici del “Movimento dell’Unità” hanno già cominciato a sviluppare una riflessione sui punti ai quali ho accennato, e a realizzare esperienze concrete: per esempio sulla collaborazione fra amministratori e cittadini, sulla solidarietà con i più deboli, sulla efficienza degli apparati amministrativi, sulla collaborazione tra le diverse forze sociali e produttive presenti nel Comune. E tutto questo viene partecipato ormai a politici in vari Stati. E lo si fa anche a Roma. Ci si aiuta così tutti insieme a mettere in pratica la fraternità, approfondendo soprattutto la conoscenza del carisma che la rende possibile. Ci si scambiano le esperienze, si mettono in comune le idee, le preoccupazioni, le esigenze che si affacciano sempre nel lavoro quotidiano di chi fa politica.

Questo, in sintesi, ciò che pensa e fa il “Movimento dell’Unità”. Signor Presidente del Consiglio, Signor Sindaco, Autorità civili e religiose, Sua Eccellenza Commissario del Governo, carissimi concittadini di Trento, ringrazio tutti loro per l’attenzione a queste riflessioni sulla fraternità nella città e per l’amore con il quale mi hanno ascoltata.

 

CHIARA LUBICH