Eguaglianza e libertà, sfide del XXI secolo

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24 Dicembre 2020
Il nostro tempo come momento giusto per ricercare l’uguaglianza con fraternità nella libertà. Un contributo sul nuovo libro di Thomas Piketty, “Capitale e ideologia”

Il nuovo libro di Thomas PikettyCapitale e ideologia (La Nave di Teseo, 2020), allarga gli orizzonti storici e geografici e apre il campo a possibili trasformazioni dei sistemi politici verso modelli partecipativi. Il futuro è nelle nostre mani. Diamoci da fare in questo cambiamento d’epoca. In ogni periodo storico e latitudine, l’ideologia ha giustificato le proprie disuguaglianze per mantenere in piedi l’edificio sociale e politico. Conoscendo traiettorie e biforcazioni della storia, possiamo comprendere i fondamenti delle nostre istituzioni oggi per trasformarle verso l’equità.

La modernità iper-capitalista, il crollo delle esperienze comuniste, la crisi di quelle socialdemocratiche ci impongono di comprendere la narrazione inegualitaria degli anni Ottanta e Novanta, implosa con la crisi del 2008 e la pandemia del 2020. La lotta per l’uguaglianza e l’educazione, la funzione sociale della proprietà, i beni comuni aggrediti dalle politiche neoliberiste, sono alla base del progresso umano e di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Da qui dobbiamo ripartire.

Abbiamo oggi gli strumenti per capire le derive identitarie del social-nativismo (Trump, Brexit, sovranismo) e per dischiudere un orizzonte partecipativo, fondato su cultura, uguaglianza, condivisione dei saperi e dei poteri.

Piketty contesta l’ideologia iper-capitalista, causa di enormi disuguaglianze, sofferenze e tensioni sociali. «La disuguaglianza non è economica o tecnologica: è ideologica e politica» (op. cit. p.20). Le disuguaglianze non hanno quindi cause naturali, come affermano i conservatori. La storia del Novecento ci insegna molte cose. «È vero, invece, che la riduzione della progressività nell’imposizione fiscale decisa negli anni Ottanta del XX secolo ha contribuito ad un aumento senza precedenti delle disuguaglianze negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel periodo 1980- 2018, nonché a un crollo della quota di entrate nazionali presa dai bassi redditi, e forse anche all’aumento del senso di abbandono delle classi medie e popolari e all’involuzione identitaria e xenofoba manifestatesi poi con la violenza nei due paesi negli anni 2016 -2017, con il referendum per l’uscita dall’Unione europea (Brexit) e con l’elezione di Donald Trump».

Abbiamo assistito ad una glaciazione ideologica e ad un aumento delle disuguaglianze nell’istruzione. Dalle coalizioni egualitarie siamo passati al ritorno delle élite multiple, intellettuali o culturali nel centrosinistra, mercantili e finanziarie nel centrodestra.

Oggi Piketty ci sprona a ripensare a proprietà giusta, istruzione giusta, confini territoriali giusti. Va accettata la complessa diversità del mondo. Questo è un indispensabile passaggio per il lungo termine. L’intero modello economico deve essere ripensato in modo più equo e sostenibile dopo la pandemia, afferma Piketty. Nelle società contemporanee, si tratta in particolare della concezione proprietarista, imprenditoriale e meritocratica: la disuguaglianza attuale è accettabile perché frutto di un processo liberamente scelto nel quale ogni persona ha le stesse opportunità di accesso al mercato e alla proprietà e nel quale tutti godono naturalmente dei benefici del patrimonio dei più ricchi, che sono anche i più meritevoli perché più intraprendenti ed utili.

Questa favoletta meritocratica non regge più. È un modo comodo dei privilegiati del sistema economico attuale di giustificare qualunque livello di disuguaglianza senza l’onere di analizzarlo. La colpevolizzazione dei più poveri non è mai stata così esplicita. La disuguaglianza è soprattutto conseguenza di scelte politiche: qualità dell’istruzione come ascensore sociale, livello di progressività delle imposte per la redistribuzione del reddito. È allora la struttura delle idee del mondo, della giustizia e della legittimità, vale a dire l’ideologia, a determinare il livello di disuguaglianza secondo l’alternativa storicamente più favorevole a chi detiene il potere.

Certamente il genere umano gode oggi di un livello di istruzione, di reddito e di salute non comparabile con quello del Settecento, quando però la popolazione mondiale era di 600 milioni rispetto ai 7 miliardi di oggi ed il livello di inquinamento trascurabile. È tra il 1914 ed il 1945 che si riducono in Europa le disuguaglianze con l’introduzione di aliquote più alte sui redditi elevati e di regimi comunisti o socialdemocratici.

Poi la nascita del Welfare State, negli anni Cinquanta del Novecento, comporta la redistribuzione di servizi con scuola, sanità, pensioni, attraverso un forte aumento della pressione fiscale sui redditi più alti. Le cose cambiano con gli anni Ottanta e Novanta quando l’ideologia neoliberista comporta un taglio delle imposte e quindi della spesa sociale in istruzione, sanità, assistenza sociale. La spinta egualitaria viene meno anche con il fallimento del sistema sovietico, imploso su se stesso per inefficienza, repressione del dissenso, forti differenze non di patrimoni ma di status e privilegi.

A partire poi dagli anni Novanta appare un mondo iper-connesso con una società iper-capitalista e differenze in termini di tassi di inquinamento per emissione di anidride carbonica e di benessere. I ceti medi e popolari impoveriti si sentono delusi da partiti comunisti e socialdemocratici e si affidano alla protezione di nuove forze politiche identitarie e sovraniste.

 

Prospettive per il XXI secolo
La grande trasformazione del Novecento ha visto il passaggio dalla società dei proprietari in crisi alle società socialdemocratiche, comuniste e postcomuniste con una uguaglianza incompiuta. La sinistra intellettuale benestante ed i ceti popolari sembrano non in sintonia. L’iper-capitalismo è stato colpito dal di dentro da una pandemia epocale e messo in ginocchio.

Il social-nativismo, il sovranismo con la loro trappola identitaria accusano le prime sconfitte elettorali con la vittoria di Biden negli USA. Sorge allora una domanda: quale futuro possiamo costruire entro il 2050? È possibile una democrazia partecipativa e deliberativa con un nuovo modello di sviluppo equo e sostenibile? Una cosa è certa: non è più sopportabile il livello così elevato di disuguaglianze economico-sociali.

La giustizia sociale sarà alla base di una nuova democrazia partecipativa. «Una società giusta è quella che consente a tutti i suoi membri di avere l’accesso più ampio possibile ai beni di base: l’istruzione, la salute, il diritto di voto e, più in generale, la più completa partecipazione alle varie forme della vita sociale, culturale, economica, civile e politica». (p. 1093).

Sarà necessario superare il capitalismo con il suo volto attuale per andare verso un’economia inclusiva, sociale, di mercato nella biodiversità delle imprese amiche dell’ambiente. Il potere nelle imprese stesse andrà condiviso, sviluppando le positive esperienze di cogestione come in Germania e Paesi scandinavi. Occorrerà deconcentrare la proprietà e limitare i diritti di voto dei maggiori azionisti.

Dobbiamo sviluppare modelli di proprietà sociale diffusa. Per evitare forme eccessive di concentrazione di ricchezza saranno necessarie comunque imposte progressive sulle successioni e sui redditi. Il risultato atteso è una distribuzione maggiore della ricchezza a favore del 50% dei più poveri, anche con una dotazione iniziale di capitale ai giovani, es. a 25 anni. Si tratta di una dotazione iniziale di capitale con la triade della tassazione progressiva su proprietà, successione e reddito.

Ne deriverebbe un sistema di proprietà sociale diffusa, in particolare nelle imprese con diritto di voto, e temporanea, in grado di portarci oltre il capitalismo che conosciamo. Ovviamente serve trasparenza patrimoniale, con un registro pubblico mondiale per evitare i paradisi fiscali. Questa giustizia fiscale necessita poi di una ratifica costituzionale.

Tutto ciò però non è sufficiente per ridurre le disuguaglianze. Occorre introdurre un reddito di base per persone temporaneamente senza altre risorse ed un salario equo. Le disuguaglianze tra Stati ed il cambiamento climatico vanno contrastati invece con una tassazione progressiva sulle emissioni di CO2.

Fondamentale sempre istituire equità nel campo della istruzione. In questo modo possiamo entrare in una democrazia partecipativa dell’uguaglianza nella libertà. Rimane il problema più complesso da risolvere: quali sono i giusti confini in un mondo globalizzato?

Certamente non quelli dei singoli Stati con i loro sovranismi superati dalla interdipendenza della biodiversità, del clima, della salute come bene comune globale. Dobbiamo ripensare a grandi aree multilaterali di social-federalismo: USA, UE, Unione Africana, Mercosur etc Stiamo andando verso una giustizia giusta transnazionale?

Conclusioni
È aperta una riflessione su come superare un livello insopportabile di disuguaglianze ed una crisi sistemica post 2008 e pandemia. Dopo la deriva collettivista del comunismo e quella individualista del neoliberismo dal 1980, con annesso capitalismo compassionevole o illusione filantropica, si intravvede per la prima volta a livello scientifico, la possibilità di una conciliazione tra uguaglianza e libertà in una democrazia partecipativa con proprietà sociale diffusa attraverso la categoria politica della “fraternità universale”, intuita già da Chiara Lubich, Igino Giordani, papa Francesco.

Silvio Minnetti da Città Nuova