Governo Draghi, quale ruolo per i partiti?

press
5 Agosto 2021

I partiti devono rigenerarsi a partire dalla democrazia interna alle loro organizzazioni e trovare la strada per arrivare a riforme istituzionali condivise per il bene della democrazia. La questione aperta del bicameralismo perfetto e il nodo della legge elettorale.

Nel periodo 2021-2023 i partiti sono chiamati a fare la loro parte mentre il governo Draghi affronta le due emergenze che hanno imposto una maggioranza di responsabilità nazionale tra forze alternative: campagna rapida di vaccinazione di massa, approvazione ed attuazione del PNRR per ben 209 miliardi di euro.

Quale il ruolo dei partiti? Rigenerare sé stessi in Congressi veri con mozioni e leadership collegiali competitive, applicazione dell’art. 49 della Costituzione per garantire il “metodo democratico” nella vita interna e la trasparenza dei finanziamenti. Ma ancora non basta. Occorre fare delle riforme istituzionali puntuali condivise, concordare una legge elettorale che consenta a chi vince di governare per cinque anni in una normale democrazia dell’alternanza.

Uno dei nodi da sciogliere è quello della doppia Camera dopo il taglio dei parlamentari. Sono decenni che ci lamentiamo che quasi 1000 parlamentari sono troppi e finalmente li abbiamo ridotti a 600. Sono decenni che ci lamentiamo che il bicameralismo perfetto e paritario inceppa il processo legislativo e decisionale e che siamo l’unico Paese in questa difficile situazione. Non abbiamo ancora risolto il problema.

Da tempo affermiamo che i poteri regionali sono sbilanciati per la mancanza di una Camera che le rappresenti per trovare unità nazionale, nel rispetto delle autonomie, in dialogo Stato-RegioniCi lamentiamo della evidente scarsa governabilità del sistema politico italiano e oscilliamo tra modello tedesco o francese illudendoci che una semplice legge elettorale possa risolvere la questione.

Due Camere con gli stessi poteri e funzioni sono da superare o differenziando le funzioni o riducendole ad una con 600 parlamentari. Nel caso di una sola Camera basterebbe introdurre la sfiducia costruttiva, anche con questa legge elettorale mista, potenziare il Governo con attribuzione del potere di nomina e revoca dei ministri in capo al Presidente del consiglio.

Alcuni propongono l’istituzione di una Assemblea della Repubblica, integrando la Commissione parlamentare per gli affari regionali, fino ad un massimo di 88 membri, 44 parlamentari e 44 rappresentanti delle Regioni, province autonome, Roma Capitale e rappresentanti di Anci e Upi.

A maggioranza semplice tale Assemblea potrebbe riesaminare una legge approvata da una Camera della Repubblica. Sarebbe uno strumento di riflessione per contemperare interessi istituzionali senza costituire un freno definitivo. Il riequilibrio dei poteri tra le Regioni e lo Stato è nelle mani dei partiti. Questo il loro compito che il Governo Draghi non può assolvere.

La legge elettorale infine rappresenta sempre un nervo scoperto. Gli accordi sul proporzionale al tempo del Governo giallorosso sembrano saltati. Non è escluso che si torni a votare con il Rosatellum. PD, Lega, Fdi sembrano orientati verso il maggioritario. Fi, Azione e Iv propendono per il proporzionale ma ne temono la soglia di sbarramento al 5 per cento come in Germania.

Gli scenari al momento sono ancora aperti. I collegi elettorali sono stati determinati nel dicembre 2020 e riadattati alla nuova composizione di Camera e Senato. Il Rosatellum, maggioritario per il 36 per cento in collegi uninominali e proporzionale per il 61 per cento con liste bloccate corte, potrebbe rimanere in pista, visto che ha consentito la formazione di tre maggioranze totalmente diverse con tutti dentro tranne Fdi.

Le aggregazioni elettorali non hanno avuto la forza di diventare vere coalizioni politiche. Ogni partito si è mosso poi, indipendentemente da impegni elettorali, come in un sistema proporzionale che consente la formazione di maggioranze dopo il voto in Parlamento. Questa chance, nel caso non vincesse nessuna coalizione, rimane interessante per molti partiti, ormai soggetti deboli nel sistema politico.

Ultima considerazione sulle riforme istituzionali puntuali: il diritto di voto dei diciottenni al Senato. Quasi quattro milioni di giovani tra i 18 ed i 24 anni hanno acquisito l’elettorato attivo per il Senato.

In tal modo Camera e Senato avranno la stessa base elettorale e quindi le stesse maggioranze politiche alle prossime elezioni. La Costituzione verrà modificata se non interverrà un Referendum abrogativo in assenza di una approvazione a maggioranza di due terzi nel doppio passaggio alle Camere. Rimane l’età di 40 anni per essere eletti senatori.

L’approvazione a larga maggioranza di questa legge dimostra che la via del dialogo tra partiti e gruppi in Parlamento rimane sempre la via maestra per le riforme necessarie a dare stabilità e capacità decisionale al sistema politico italiano.

Silvio Minnetti da Città Nuova