Ripensare le città come luogo di prossimità

press
26 Novembre 2020
La pandemia da Covid 19, come un giudizio universale anticipato, rende evidente l’urgenza di un nuovo impegno civico, a partire dalle città, per prendersi cura dell’altro facendosi carico delle ferite che lacerano la nostra vita sociale.

La pandemia ha travolto il mondo negli ultimi mesi, ha inasprito le già gravi disuguaglianze, le contraddizioni del capitalismo 4.0 o della sorveglianza.

Occorre un cambiamento radicale come risposta al Covid 19. Lo strumento per vincere questa sfida consiste nella cura come è messo in evidenza nella “Carta per un impegno civico” promossa dal Movimento dei Focolari in Italia: «La cura è anzitutto un modo diverso di guardare alle persone e alla società, facendosi carico delle ferite e delle fratture di diversa natura che lacerano i nostri contesti di vita. Cura delle persone, delle povertà, incluse quelle educative, dell’ambiente, del corpo sociale, della pace».

Si tratta, allora, di coniugare ecologia integrale con un nuovo modello di sviluppo sostenibile, con la politica del prendersi cura. Tutto è connesso. Tutti i saperi sono implicati nella complessità della risposta alla pandemia: medicina, psicologia, urbanistica, educazione, sociologia, comunicazione, ecc. È la fine della modernità con la rigida separazione tra le specializzazioni. Lo esige la salute come bene comune globale.

Pasquale Ferrara, diplomatico ed esperto di relazioni internazionali, definisce il nuovo orizzonte che abbiamo davanti come “Prossimità  globale”. Illusoria è, perciò, la restaurazione dell’ordine preesistente. Se non vogliamo assistere alla fine dell’”Impero  romano di Occidente”, dobbiamo lavorare per un secondo Rinascimento, dopo 500 anni, fondato su giustizia sociale e ambientale.

Si tratta del passaggio da un sistema di warfare ad uno di welfare relegando le guerre e le enormi spese per gli armamenti nei libri di storia. Se vogliamo passare dalla semplice previsione alla lungimiranza, dobbiamo pensare ad una politica alta per la sicurezza umana in una democrazia capace, cioè, non solo decidente, ma in grado di coniugare rappresentanza e competenza. Avremo allora un ecosistema internazionale in grado di rispondere alla società del rischio descritta dal sociologo Ulrich Beck con una nuova architettura politica tra la dimensione nazionale, sovranazionale, multilaterale.

Sarà  la trasformazione in senso cosmopolitico dello Stato, il passaggio dalla fatalità alla scelta in una civilizzazione riflessiva. Vivremo allora in una prossimità globale, la migliore risposta a questa terribile pandemia, perché non sia passata invano.

La fragilità della polis, delle nostre città, rimette in discussione la nostra vocazione politica,  in questo “giudizio universale” anticipato, rappresentato dal Covid 19, come afferma Antonio Baggio, professore ordinario di “Filosofia Politica” nell’Istituto Universitario “Sophia”.

In questa pandemia, che mette a nudo le nostre fragilità e il bisogno di cura, la fraternità bussa alle nostre porte, mettendo in discussione l’autonomia dei singoli nel senso che nessuno basta a se stesso. La libertà ci viene incontro con il volto dell’altro, come sottolinea la giurista Adriana Cosseddu. È un passaggio dal male comune ai beni comuni, afferma l’economista Luigino Bruni.

Dopo la pandemia saremo consapevoli dei limiti della nostra esistenza e della necessità di modificare stili di vita e modello di sviluppo economico? La comunità di destino dell’umanità ci impone ormai di valorizzare i beni comuni e di mettere al centro il governo del bene pubblico.

Partire  dal basso, dalle città  intelligenti. Le città saranno infatti le trincee del futuro. Da queste si può sprigionare una forza solidale e fraterna. Sarà la migliore risposta al virus che ne ha aggredito vulnerabilità e violenza.

Pensiamo alla città come razionalità, ma non basta, afferma l’urbanista Elena Granata in BiodivercityServe scoprire l’anima, i sentimenti, la dimensione affettiva, artistica, umana. Occorre uno slancio progettuale. Non bastano più ingegneri, architetti, pianificatori, tecnocrati. La complessità esige nuovi sguardi di artisti-filosofi-imprenditori, politici, pedagogisti, architetti- giardinieri-ambientalisti, designer-falegnami, neurobiologi-urbanisti. Persone creative capaci di coniugare utilità con immaginazione. È l’attitudine a saper vedere l’architettura complessiva di una città. La creatività consiste nel riuscire a far convivere in unità le differenze, valorizzare l’energia di una comunità, trasformando le emozioni in comportamenti. Siamo sul versante della discordia-concordia, delle disubbidienze positive per generare diversità creatrici, contraddizioni migliorative.

Dovremo imparare a vivere in città “lapiriane” consapevoli delle loro vocazioni in ecosistemi differenti e plurali. Parliamo di diversità che producono differenze in una visione armoniosa di comunità. Insomma, dobbiamo esplorare nuove forme di vita e modi di abitare. Esempio: il quartiere con tutti i servizi nel raggio di 15 minuti a piedi come a Parigi, contro l’inquinamento per una mobilità intelligente.

Il lockdown ci chiude in casa, quartieri, comuni. Allora dobbiamo pensare ad un uso più flessibile dello spazio urbano con negozi di vicinato, utilizzo di spazi expo al servizio del quartiere, per ridurre gli assembramenti nei grandi centri commerciali.

Servono più medici di base ed infermieri domiciliari con poliambulatori in ospedali di comunità facilmente raggiungibili. Vanno ridotte le disuguaglianze tra centro storico e periferie. Per questo occorre fare progetti di rammendo dei quartieri ricordando la lezione del sociologo Richard Sennet sulla interdipendenza tra forma della città e qualità della vita.

Le città vanno decentralizzate riorganizzando economia, densità e compattezza. Ce lo impone il cambiamento climatico provocato dall’inquinamento. Vanno aiutate le persone che vivono in piccoli centri, anche in piccoli borghi delle Alpi e dell’Appennino.
Il percorso di impegno civico per la salute del corpo sociale dovrà  affrontare il problema della densità, rarefazione delle persone nei quartieri con urbanisti ed amministratori  comunali per prevenire future pandemie. Alle città nervose di oggi dobbiamo sostituire entro il 2030-2050 città sane, ecologiche, belle, intelligenti.

Una rivoluzione dal basso con l’impegno dei cittadini direttamente interessati alla qualità della vita. Interessante il progetto di rigenerazione delle periferie del III Municipio di Roma. Innovativo il laboratorio del Quartiere Giambellino nel sud -ovest di Milano con la cura dei senza reddito, degli invisibili.

La scommessa consiste nella futura globalizzazione regolata tra il conciliare città aperte con città intelligenti e vivibili.

Silvio Minnetti da Città Nuova