Transizione o conversione ecologica?
La trasformazione di un mondo in movimento. Le priorità, gli obiettivi e le piste di lavoro.
Oggi abbiamo una epocale questione sociale: la conversione ecologica integrale. Tutto infatti è connesso: ambiente, lavoro, futuro. L’ enciclica Laudato si’ di papa Francesco nel 2015 ha profeticamente svegliato l’umanità da un lungo sonno per evitare il disastro. Siamo chiamati ad una “profonda conversione interiore” (LS217). La transizione ecologica è in realtà una conversione. È urgente un cambio di mentalità per un nuovo modello di sviluppo in tempi brevi: entro il 2050 per evitare l’aumento della temperatura oltre 1,5 gradi. Cosa fare?
Innanzitutto salvare l’Amazzonia a livello mondiale, fermare la deforestazione, fare la bonifica di tutte le falde inquinate come a Vicenza, delle discariche abusive a cielo aperto come nella Terra dei Fuochi, con i fondi provenienti da Next Generation EU per una riconversione ecologica dei territori. Occorre monitorare costantemente attraverso analisi di acqua, suolo, aria e cambiare stili personali di vita. Dobbiamo in fretta cambiare direzione e sistema. Papa Francesco lo ha capito con lucidità, come Alex Langer inascoltato nel lontano 1994.
La lotta al carbone sarà centrale nei prossimi decenni. Quali gli scenari possibili? In un Pianeta sovrappopolato e con risorse limitate non potremo più consumare prodotti usa e getta, utilizzare l’auto da soli, scaricare nell’ambiente 50 kg di plastica dei supermercati a testa. La conversione low carbon non sarà efficace se coinvolgerà solo una parte della popolazione. Non sarà facile sostituire il fossile nella vita quotidiana, nelle attività produttive. Non basteranno le tecnologie. Serve una conversione per accettare il cambiamento di stili di vita, con politiche eque e condivise per non scaricare i costi della transizione sui soggetti più deboli.
In questa fase storica ci sono anche opportunità: le professioni del futuro, i green job. La via di uscita per i disoccupati è verde: in agricoltura, edilizia, nel campo delle energie e delle imprese sostenibili. Serviranno ingegneri, informatici, designer, certificatori, installatori ambientali. Solo il Pnrr ne chiederà migliaia. Il sistema formativo è allertato. Per l’Enel, solo nel loro settore, serviranno 15 mila addetti. Le 441 mila imprese che negli ultimi 5 anni hanno investito in Green Economy e sostenibilità rappresentano un terzo di quelle industriali ed il 36% di quelle della manifattura. Ora esportano più delle altre. Non dimentichiamo poi che l’Italia è leader nella economia circolare. Non dobbiamo sottovalutare il fatto che lo sviluppo economico va legato all’inclusione sociale.
Tutto è connesso: cambio di paradigma dell’economia mondiale, ambiente, green e digital economy, bellezza e diritti sociali. Le imprese coesive sono quelle più competitive. L’appartenenza, la creatività, la responsabilità crescono nelle imprese attente ad ambiente, salute, sicurezza sul lavoro. Da qui aumento di produttività e di qualità. Anche la fabbrica ” bella”, luminosa, trasparente, progettata dai migliori architetti aiuta in questa direzione migliorando la qualità della vita.
Una trasformazione importante riguarda il mondo della finanza. Il Forum della finanza sostenibile celebra i vent’ anni di attività. Gli investimenti responsabili orientano il mercato coniugando giustizia sociale e imprese green. Dal 2001 notiamo operatori finanziari, organizzazioni interessate all’ impatto sociale e ambientale degli investimenti. Parliamo ormai di 130 soci rispetto ai 15 iniziali. Il Forum fa ricerca, educazione finanziaria e diffonde le buone pratiche.
In particolare l’industria Sri (Sustanailble Responsible Investements) può avere un ruolo centrale nel nuovo modello di sviluppo italiano. La finanza ed il Terzo Settore non appaiono più antagonisti con la sostenibilità diventata esperienza.
I summit di G20 e Cop26 hanno dimostrato invece la fragilità della politica. Appare evidente la necessità di una mobilitazione dal basso. In questa direzione va il Premio Non sprecare con la collaborazione della Luiss. Non possiamo sperperare acqua. Molti fondi di Recovery Fund sono destinati ad ammodernamento di acquedotti. Dobbiamo contenere lo scandalo dell’acqua sprecata: 220 litri al giorno contro una media europea di 125.
L’Italia è un Paese fragile. Occorrono mappe e idee per risanare le troppe ferite idrogeologiche, di spopolamento delle aree interne, degrado sociale delle grandi periferie, divario Nord-Sud. Quanto allo spopolamento, la ricerca Riabitare l’Italia esprime le ambizioni ed i progetti di chi vive nelle aree interne. La maggioranza dei ragazzi vuole rimanere dove è nato per costruire il proprio futuro. Il 67 % vuole restare per una migliore qualità della vita, per contatti sociali più gratificanti, per un forte legame con la comunità.
Si tratta in prevalenza di giovani che hanno terminato gli studi, hanno un lavoro a tempo indeterminato, che hanno lavorato fuori Comune. Per questo serve mettere l’ambiente e le relazioni sociali al centro finanziando progetti con un microcredito innovativo. Questi giovani esprimono un rilevante capitale culturale che vogliono investire nel loro territorio. Fondamentale è portare la fibra per poter lavorare attraverso gli operatori della telefonia. Si tratta di ritrovare insieme le energie per cambiare le cose.
Così si convince a “restare”. Sembra che la grande fuga sia terminata. Ora dobbiamo potenziare l’identità essendo cambiata la percezione dell’importanza dei territori, in particolare di quelli montani che rappresentano il 54% della superficie del Paese. Sta maturando la consapevolezza che qui si giocherà la partita del cambiamento climatico e del “ben vivere” dopo la pandemia. I flussi turistici verso luoghi tranquilli e salubri di montagna confermano la tendenza. La creazione di Parchi negli ultimi 30 anni, la legge Realacci a sostegno della imprenditoria giovanile e femminile nei piccoli Comuni vanno in questa direzione. Produzioni tipiche locali, servizi turistici, Infrastrutture sociali, connessione sono alla base del “restare”.
È ora di fare un bilancio di Cop26 e di conversione ecologica in atto. Leonardo Becchetti afferma che è “il momento di accelerare”. I risultati di Glasgow non sono incoraggianti, ma è sbagliato attendersi molto dai grandi vertici. Ora i giovani come Greta devono continuare la loro azione nelle scuole e nelle piazze per un vero cambiamento di stili di vita e di opinione pubblica, compresa la classe media cinese e indiana dei due Paesi che hanno maggiormente frenato. Il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili è troppo lento. La transizione ecologica è in mezzo al guado. Occorrono incentivi per rendere conveniente a famiglie e imprese la conversione.
Va riconosciuto ex ante un premio alle imprese che fanno investimenti green ed ex post sui risultati della riduzione delle emissioni climalteranti, in particolare nei settori più duri della plastica, acciaio e cemento. Occorre incentivare la tecnologia che accelera la transizione circolando ad alta velocità nel mondo globale. Nello stesso tempo dobbiamo ridurre i 19 miliardi di incentivi alle fonti fossili a favore dei sussidi ambientalmente favorevoli.
Usa e Ue devono introdurre una tassa sui prodotti ad alte emissioni per spingere tutti i Paesi verso il cambiamento. Fondamentale il voto con il portafoglio a favore dei prodotti a basso inquinamento. Se cambiano stili di vita e di consumo, il mercato e la politica si adegueranno. Occorre un ritmo più spedito. Non basta una tranquilla transizione. Serve una profonda e rapida conversione per stare entro un grado e mezzo in più di temperatura e raggiungere la neutralità climatica nel 2050. È un cambio di paradigma non indolore.
Dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e di produrre e consumare, come aveva capito Alex Langer 40 anni fa. È tempo di scelte radicali, ad esempio nel campo della deforestazione. Siamo i custodi degli alberi, afferma Stefano Mancuso in occasione del 21 novembre, festa degli alberi. Dobbiamo conservare intatte le foreste anche per il mantenimento dell’ordine sociale ed economico. Siamo chiamati a lasciare tracce profonde di gentilezza lungo i sentieri che ci legano agli altri esseri viventi, uomini ed alberi compresi. Da 300 mila anni la Terra è coperta da foreste.
Le ultime decisioni di Glasgow non sono state apprezzate abbastanza. I leader di 131 Stati che sono responsabili del 90 % delle foreste, hanno deciso la fine della deforestazione entro il 2030. Bloccare la deforestazione è una rivoluzione che lascerà orme di gentilezza. Ilaria Capua nel suo ultimo libro, La meraviglia e la trasformazione verso una salute circolare (Mondadori 2021), offre una chiave di lettura della conversione ecologica in atto: «Le crisi non devono mai essere sprecate: racchiudono sempre opportunità. Sono l’occasione di ripensare il sistema sul quale si sono abbattute. Contengono energia distruttrice ma anche generatrice, ed è proprio questa forza che siamo chiamati a gestire e a governare».
Silvio Minnetti da Città Nuova