Laboratorio regionale sull’emergenza immigrazione – Milano
Resoconto del laboratorio
Ci sono voluti diversi mesi di incubazione, l’appoggio incondizionato di un paio di Consiglieri Regionali e una grande tenacia per riuscire ad organizzare il primo Laboratorio Regionale di Ascolto Reciproco e Condivisione che si è svolto il 3 dicembre a Milano presso il Palazzo della Regione, il famoso Pirellone, uno dei simboli di questa città e di tutto il territorio lombardo. Ci eravamo posti un obiettivo ambizioso, non in termini numerici quanto di rappresentanza, dichiarandoci disposti a rinunciare al nostro progetto se non ci fosse stata un’adeguata miscela per dar vita ad un vero dialogo. Obiettivo raggiunto: sette i Consiglieri presenti, appartenenti a cinque schieramenti diversi.
La professoressa Anna Granata, docente di Pedagogia generale interculturale presso l’Università degli Studi di Torino, ha avviato la discussione proponendo alcune riflessioni, la prima delle quali sul titolo stesso del laboratorio. Il termine “emergenza”, benché tuttora utilizzato per descrivere la situazione, non è più adatto da tempo, addirittura dagli anni ’70 quando per la prima volta il numero di immigrati nel nostro paese ha superato quello degli emigrati all’estero. La parola emergenza evoca una situazione di pericolo e a volte porta a provvedimenti affrettati e superficiali.
Il suo suggerimento per affrontare il tema è stato quello di farci stimolare da tre spunti.
Il primo: uscire dalla logica “noi e loro” e pensare ai flussi migratori come ad una situazione che misura il grado di civiltà dei popoli, di chi migra e di chi accoglie. Provare a non pensarci solo in uno di questi due ruoli, ma ricordarci che anche i nostri giovani spesso scelgono di partire: noi italiani siamo stati e siamo emigranti. E ammettere onestamente che la nostra capacità di accogliere è come uno specchio, che riflette l’identità stessa del nostro paese e della nostra cultura.
Il secondo: restituire ai migranti il loro passato e la loro storia. Per noi è come se iniziassero ad esistere quando mettono piede sul nostro territorio, non conosciamo davvero la storia dei loro paesi, le situazioni da cui vogliono allontanarsi, dimentichiamo in fretta anche la loro etnia.
Il terzo: restituire un futuro ai cittadini nuovi e vecchi. Per ridare una dimensione di vita non è sufficiente conoscere il passato, ma anche pensare e proporre un domani da cittadini, non solo per chi arriva da noi in cerca di una possibilità, ma per i nostri stessi giovani.
Il dialogo che ne è scaturito è stato ricco di riflessioni. Si è sottolineato come sarebbe opportuno uscire da una narrazione negativa per mettere in luce la positività e la ricchezza di tante vicende. Si è dato un giusto peso alla politica internazionale, unica in grado di farsi carico delle condizioni che nelle varie nazioni provocano la fuga della popolazione, ma anche alla politica locale, che dovrebbe essere più coraggiosa e creativa. Si è evidenziato che il confine tra il rispetto delle leggi e la pratica delle usanze culturali e religiose spesso è indefinito e provoca fratture che si potrebbero evitare. La nostra Costituzione, più volte citata come base solida per ogni ragionamento politico e civile, ci mostra anche come il vero problema dei flussi migratori non siano i numeri o la nazionalità di chi arriva, quanto l’incapacità del nostro sistema di dare a tutti (italiani compresi) un lavoro, fattore fondante della nostra Repubblica.
Ogni riflessione proposta si può leggere come un intreccio di sensibilità personale e dimensione politica. Ogni intervento ha portato in sé come due anime, una relativa alla persona, alla sua storia e alle sue esperienze, e una propria del politico, con le sue posizioni e le sue scelte.
Per loro stessa ammissione, la propria appartenenza politica li costringe a ragionare per schemi e ad essere coerenti con le dichiarazioni della propria parte. Ma sentono il bisogno di ambiti in cui una condizione di vero ascolto renda possibile uno scambio più vero e profondo. Siamo certi di aver fornito un’occasione avente queste caratteristiche, motivo per cui nei saluti conclusivi era già presente la richiesta di un prossimo appuntamento.
Susanna Mattarelli – Mppu Lombardia