Per una Politica di comunione – Roma

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15 Dicembre 2000

Conversazione svolta da Chiara Lubich il 15 dicembre 2000 nella Sala di San Macuto a Roma, ad un folto gruppo di politici
a vari livelli e di tutte le tendenze politiche

On. Presidente della Camera,

Onorevoli senatori e deputati,

rappresentanti del governo e dell’opposizione,

sindaci, amministratori e funzionari della pubblica amministrazione,

cittadini, dirigenti e militanti dei partiti,

prossimi candidati alle elezioni.

Ringrazio tutti della loro presenza mentre oso sperare, con questo mio intervento, di offrire una serena tregua agli impegnatissimi loro lavori. Più di un mese fa mi trovavo a Washington D.C. Erano i giorni in cui alla Casa Bianca il presidente Clinton accoglieva Arafat e poi separatamente Barak per uno dei suoi tentativi di riportare la pace in Medio Oriente, purtroppo anche quello senza esito. Erano i giorni in cui si votava per il nuovo presidente e iniziava l’interminabile altalena fra i due candidati, che tutti conosciamo. Nella bella bianca città, capoluogo federale degli USA, pur abbellita da un meraviglioso sole non previsto, un’atmosfera grigia e pesante si rifletteva sui volti dei suoi cittadini. Da una parte era palese la costatazione della quasi impossibilità di sanare col solo dialogo certe situazioni di estrema difficoltà. Dall’altra che a questo mondo la perfezione non esiste, nemmeno per la democrazia degli Stati Uniti. Nello stesso tempo, in mezzo ad una società nella quale le discriminazioni razziali sono effettivamente ancora esistenti, nel grande Centro dei Congressi di Washington, dove fino a poche ore prima si erano tenuti i convegni elettorali, ecco un evento, parso quasi un miracolo, un segno dei tempi: una potente spinta innovativa nel dialogo tra gruppi diversi per cultura e religione. 7.000 rappresentanti di due Movimenti consistenti: uno cattolico, il Movimento dei Focolari, interreligioso e interculturale formato in prevalenza di bianchi e cristiani, diffuso in tutto il mondo con milioni di aderenti; l’altro l’Associazione di musulmani afroamericani (Muslim American Society) di due milioni, guidata da W.D. Mohammed, erede dell’azione di pace ed emancipazione di Malcolm X, suggellavano in questo nostro tempo di gravi tensioni, paure e conflitti proprio tra cristiani e musulmani, la loro fratellanza coltivata da qualche tempo. In un’esultazione non semplicemente umana, in un abbraccio sincero, con un applauso senza fine, si promettevano di proseguire il loro cammino nella più piena unione possibile e di allargarlo ad altri di quell’infinito numero di singoli e gruppi presenti negli USA provenienti in pratica da tutte le nazioni del mondo. Il tutto trasmesso dalla televisione via satellite in Europa e Medio Oriente.

Come può essersi verificato questo?, ci si può razionalmente chiedere. Per i presenti non c’erano dubbi: alla vita degli uomini e delle donne del nostro pianeta non sono riservate solamente risorse umane, anche se ricche e preziose. Per coloro che l’accettano c’è Uno che guida la storia grande e quella piccola di ciascuno e mette a disposizione la sua Onnipotenza. A Washington si ebbe questo risultato soprattutto ad opera d’un suo dono speciale, uno di quei carismi dello Spirito Santo che vengono incontro ai segni dei tempi. E ne è stato convinto anche un vescovo di Washington, mons. O’Brien, se ha detto: «Il carisma dell’unità, è la potenza che potrà mettere insieme questo popolo così diverso ed è ciò che gli USA potranno offrire al mondo». Ora – visto il risultato – gli uni e gli altri proseguiranno nell’apprendimento e approfondimento di questo dono per essere – con l’aiuto di Dio – sempre più abilitati al compito che è apparso loro all’orizzonte. Ed è stato proprio a Washington D.C. che mi e ci si è confermata l’idea dell’attuale incontro. Nel giugno scorso, come parecchi di loro sanno, si svolse a Castel Gandolfo un convegno internazionale di circa 800 politici. Si trattava di personalità provenienti da più continenti, rappresentanti o simpatizzanti di quell’espressione politica del Movimento dei Focolari che è fiorita recentemente e si va sviluppando in più nazioni sotto il nome di «Movimento dell’Unità». Molti gli interventi. Molti gli aspetti della vita politica toccati e, soprattutto verso la fine, la presa di coscienza da parte di tutti che dei tre ideali del grande progetto politico della modernità, espressi dalla Rivoluzione francese, uno è ancora al punto di partenza: se quello della libertà e dell’uguaglianza sono stati considerati e più o meno perseguiti, la fraternità è rimasta del tutto disattesa: quella fraternità, sinonimo d’unità, che è, fra il resto, proprio la finalità del carisma che ci anima. E ci si impegnò a conoscerlo meglio per meglio metterlo in pratica. Ora, nel presente nostro incontro, si vorrebbe dare il via a quest’impegno offrendo al nostro mondo politico italiano e, per esso alla nostra Patria, la possibilità di approfondire questo carisma, nella speranza o meglio nella certezza che non v’è nulla di meglio, di più utile e di più bello che possiamo donare.

È profonda, infatti, nelle nostre menti la convinzione che il Movimento dei Focolari abbia avuto e abbia a che fare anche con la politica. E in che modo? Lo possiamo subito intuire prendendo in esame i primissimi momenti della sua storia. Il Movimento, come è noto, è nato durante la Seconda Guerra mondiale, sotto i bombardamenti, a Trento, quando crollavano le case, e con esse progetti di vita come i nostri e le speranze, le sicurezze, le virtù civiche: si disfaceva tutto quell’insieme di istituzioni, di consuetudini e di relazioni che, in tempi normali, costituiscono il tessuto della società civile e politica. Era il fallimento della politica, ridotta ormai al solo linguaggio delle bombe e delle armi. Tutto veniva meno, mentre nei cuori di noi giovani, prime focolarine, si affacciava, con forza mai prima conosciuta, un’unica verità: Dio è l’unico Ideale che non crolla; Dio che ci si rivelava come Amore, Amore straziato, come noi lo eravamo dalla guerra: Amore che, nel Figlio suo crocifisso e abbandonato, viveva il dolore che colpiva ogni uomo e ogni donna. E Dio si era mostrato a noi tale, come Amore e Unità, proprio al culmine dell’odio e della divisione. Ed è stato proprio per dare una risposta al suo amore che è nato il Movimento dei Focolari. Dio stesso, infatti, nel Vangelo, ci aveva suggerito che, per rispondere al suo Amore, dovevamo impegnarci ad amarci tra di noi, e a portare poi questo amore a tutti; quell’amore evangelico che – come loro sanno – non è solamente un sentimento umano, limitato seppure sublime, ma è arricchito di una scintilla divina, capace di innescare tra gli uomini la fraternità, quella vera. I poveri stessi sapevano che, se potevano venire per ricevere dal focolare i beni che la Provvidenza ci faceva pervenire ogni giorno e di cui avevano bisogno, anch’essi potevano fare qualcosa: svelare, comunicare le loro necessità era anche un dare. Erano pronti, infatti, a tornarvi in seguito, per dare il poco di cui erano potuti venire in possesso e metterlo a disposizione degli altri, il misero stesso può sempre dare qualcosa, almeno un sorriso. E ciò avveniva non solo fra i singoli, ma pure fra i gruppi.

Avevamo preso di mira i rioni più poveri della città nell’impegno di suscitare anche lì l’amore evangelico e intanto sovvenivamo i bisognosi con l’aiuto di coloro che stavano meglio. Si sperava di fare così in città uguaglianza nella fraternità. E ciò attirò l’apprezzamento ed il desiderio di emulazione su vasta scala di politici locali. L’amore reciproco creava in tal modo un circolo virtuoso che ristabiliva la fiducia, riapriva la speranza, ricomponeva i legami personali e civili lacerati: nell’assenza di leggi causata dalla guerra, siamo ripartiti dall’amore: la legge delle leggi, valore supremo, principio e sintesi di tutti i valori; un amore che ha saputo ricostruire la comunità, ha realizzato quell’unità tra tutti i cittadini che è il presupposto essenziale di ogni convivenza. Ed è questa unità, che nasce dall’amore degli uni verso gli altri, che il Movimento dei Focolari ha portato in tutto il mondo, grazie al suo carisma che ha coinvolto nella sua luce e nel suo dinamismo rinnovatore milioni di persone di tutte le fedi e culture, sanando violenze, odi e pregiudizi. E lì dove è arrivato, ha fatto conoscere l’esperienza di una città, Trento, e di una nazione, l’Italia; anche grazie allo slancio di unità proveniente dalla nostra piccola esperienza, e di molti altri impulsi che in quegli anni spingevano uomini e donne all’impegno civile e politico, la nostra Italia si risollevava dalle macerie e, in uno sforzo comune dei suoi cittadini, metteva le basi per un futuro di pace per le nuove generazioni. Ora – lo sappiamo – all’inizio del terzo millennio, nel nostro Paese si riaffacciano, fra il resto, antichi problemi solo parzialmente risolti, e nuove sfide. Non sarà quindi bene oggi, di fronte al pericolo di nuove divisioni, ricordarsi che ieri l’Italia si è risollevata dalla guerra perché ha saputo ripartire da un nucleo fondamentale di valori condivisi, alla cui base stava, prima di ogni altra cosa, la fraternità?

Lo scopo specifico del Movimento dell’Unità, a cui partecipano militanti nei più diversi partiti, è questo: aiutare e aiutarsi a essere prima di tutto persone che, nella fraternità, credono nei valori profondi, eterni dell’uomo e poi si muovono nell’azione politica. Non si tratta quindi di un nuovo partito; né si vuol confondere religione e politica, come è avvenuto e avviene per gli integralismi di cristiani e anche di non cristiani. Si propone solo e si testimonia uno stile di vita che permetta alla politica di raggiungere nel miglior modo il suo fine: il bene comune nell’unità del corpo sociale. Anzi si vorrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica di impegnarsi in questo modo di vivere formulando quasi un patto di fraternità per l’Italia, che metta il suo bene al di sopra di ogni interesse parziale: sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito. Perché la fraternità offre possibilità sorprendenti. Essa consente, ad esempio, di comprendere e far proprio anche il punto di vista dell’altro, così che nessun interesse, nessuna esigenza rimangano estranei. Ricostruisce il tessuto sociale e, per essa, acquistano nuovi significati anche la libertà e l’uguaglianza, con tutti gli orientamenti politici e le scelte che da essi discendono.

C’è questa profonda convinzione dei politici del Movimento: la fraternità consente di tenere insieme e valorizzare esperienze umane che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili come le ferite ancora aperte della questione meridionale e le nuove legittime esigenze del Nord. La fraternità armonizza le esperienze delle rinate autonomie locali, dei governi cittadini che tanto contribuiscono alla maturazione della democrazia, con un senso di piena appartenenza alla Patria. La fraternità illumina la crescente coscienza di essere europei in un’Europa che – per storia e cultura – va dall’Atlantico agli Urali. Consolida la coscienza dell’importanza degli organismi internazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana. La fraternità è un impegno che: – favorisce lo sviluppo autenticamente umano del Paese senza isolare nell’incertezza del futuro le categorie più deboli, senza escluderne altre dal benessere, senza creare nuove povertà; – salvaguarda i diritti della cittadinanza e l’accesso alla cittadinanza stessa, aprendo una speranza a quanti cercano la possibilità di una vita degna nel nostro Paese, il quale può mostrare la propria grandezza nell’offrirsi come patria per chi l’ha perduta; – aiuta la ricerca scientifica e l’invenzione di nuove tecnologie, salvaguardando, insieme, la dignità della persona umana dal primo all’ultimo istante della sua vita, fornendo sempre le condizioni perché ogni persona possa realizzare la propria libertà di scelta e possa crescere nell’assunzione di responsabilità. In una parola: possa mettere in atto quella specifica capacità di amare iscritta nel DNA di ogni donna e di ogni uomo, che la realizza pienamente come persona, unica ed irripetibile.

La fraternità – così ci sembra – consentirebbe inoltre di immettere nuovi principi nel lavoro politico quotidiano: farebbe in modo che non si governi mai contro qualcuno o essendo l’espressione solo di una parte del Paese. C’è chi ha compiti al governo e chi all’opposizione, che solo insieme garantiscono la sovranità dei cittadini. La fratellanza ancora permetterebbe che si viva pienamente il rapporto tra l’eletto, fin da quando è candidato, e i cittadini del proprio territorio: luogo privilegiato di un dialogo che fa scaturire i programmi dalla collaborazione tra società civile e politica. Il candidato manterrebbe così più facilmente gli impegni presi e renderebbe conto del proprio operato; e i cittadini lo accompagnerebbero nel suo lavoro con un’azione di sostegno lungo tutto il mandato. In questo modo, sarebbe superata la separazione tra società e politica, e l’eletto non si troverebbe mai solo, ma espressione di una comunità nella quale rimane profondamente radicato; comunità che, attraverso l’elezione del proprio rappresentante, si apre alla dimensione della nazione. Così per la fraternità che dona pace, serenità, i partiti troverebbero più facile rinnovarsi, ma, pur rinnovandosi, riscoprirebbero la grandezza del loro compito, poiché nessuno di essi è nato per caso, ma da un’esigenza storica, da un bisogno condiviso di affermare un valore; e sarebbero spinti a mettere in luce la propria ispirazione originale e i propri valori fondanti. Nello stesso tempo, ogni partito riconoscerebbe i valori e i compiti degli altri partiti stimolandoli, anche attraverso una critica, carica di stima e d’amore, ad esprimere la loro vera identità e a svolgere l’azione che il bene comune attende da loro. Questo è, a grandi linee, l’ideale del Movimento dell’Unità che propone e cerca di praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché il bene del Paese ha bisogno dell’opera di tutti. Si sa poi che la politica non si svolge soltanto nei partiti e nelle istituzioni: ha una dimensione politica anche tutto ciò che si vive nella società civile, nell’associazionismo, nell’economia.

Se è vero che il bene comune costituisce il compito specifico dell’istituzione politica, è altrettanto vero che questo bene comune può essere costruito solo col contributo di tutti i soggetti sociali. E, viceversa, è col bene comune assicurato dalla politica che gli altri beni particolari possono essere raggiunti e mantenuti. La fraternità non sarebbe quindi un “di più” della politica, ma la sostanza, e dovrebbe definirne i metodi e gli obiettivi. Solo così la politica acquisterebbe il suo vero senso: di servizio alla comunità anzitutto, col cittadino come soggetto attivo. È questa – mi pare – la politica che vale la pena di essere vissuta, che aumenta la statura di coloro che vi si impegnano e dà senso all’intera loro vita, rendendoli punti di riferimento sicuri per i cittadini, in particolare i più deboli, che sono loro affidati. È questa la vera politica autorevole di cui il Paese ha bisogno: il potere, infatti, conferisce la forza, ma è l’amore che dà autorità. È questa la politica che costruisce opere che rimarranno, e per le quali vale la pena di essere ricordati. Le generazioni che verranno non saranno loro grate per avere detenuto il potere, ma per come lo avranno gestito. Non ci sarebbe quindi che da riprendere il proprio impegno politico con questo nuovo sguardo, con un’anima nuova, rafforzata anche dalla fiducia che l’efficacia delle proprie azioni è moltiplicata dall’intervento di Dio nella storia, dalla sua Provvidenza che apre strade impensate, che crea le condizioni per la soluzione delle situazioni più difficili e apparentemente senza sbocco, che accompagna col suo Amore e la sua Luce ciascuno e tutti insieme. Sarà lui, alla fine dei secoli, a raccogliere quanto si sarà fatto, a valorizzare anche le piccole cose costruite con fatica e nelle avversità, a trasfigurare il lavoro di ciascuno nei «Cieli nuovi» e nella «Terra nuova», quella città perfetta alla quale, nel profondo del proprio cuore e nel proprio modo, ciascuno anela. Ma, qualcuno potrà dire: praticare la fraternità così come tu la intendi non è facile.

Certamente non è facile. Anzi! È convinzione pure di persone nobili e acute  che la fraternità è il discorso più difficile, il tema più sconvolgente, rivoluzionario, anzi forse l’unico tema rivoluzionario fra tutti. Tanto è vero – dicono – che noi l’abbiamo sempre infranta con le tensioni e le guerre. Ma anche voci non proprio cristiane stimolano l’umanità ad amare; così Augusto Comte propone una religione (tutta terrena) che abbia come morale l’altruismo e una regola fondamentale: «Vivere per l’altro»; così Feuerbach, uno dei padri dell’ateismo moderno, afferma: «La legge prima e suprema deve essere l’amore dell’uomo per l’uomo».

Ci sono verità di fondo inscritte nella natura umana, che anche nel piano razionale si riscoprono. Lo avvertiva il filosofo pagano Seneca, il quale scriveva: «Siamo membra di un grande corpo: la natura ci ha generato fratelli». E ai persecutori dei cristiani Tertulliano ricordava: «Siamo vostri fratelli anche per diritto di natura, madre unica». Così si parla d’una fraternità raggiunta col solo sforzo umano. Tutti sappiamo che la fratellanza, prima di essere un’esigenza umanitaria, un obiettivo politico, è un fine religioso. Anzi: la fraternità universale è il progetto di Dio sull’uomo, sugli uomini. Poiché Gesù, per attuare il piano di suo Padre, è morto per ogni uomo, ha originato un legame fra tutti nella possibilità di considerare un Padre comune che fa tutti fratelli. Anche i politici. Ma questo può essere se nell’attività politica non si dimentica il proprio aspetto religioso, o, comunque, la fede nei valori profondi, metapolitici, che devono regolare la vita sociale. I credenti in Dio sono chiamati a testimoniare per primi, anche per essere stimolo e sostegno verso tutti gli uomini di buona volontà. L’on. Igino Giordani, parlamentare italiano e co-fondatore del nostro Movimento, nel suo stile inconfondibile, scriveva ancora in Rivolta cattolica: «Quando si varca la soglia di casa per tuffarsi nel mondo, la fede non s’appende come una papalina stinta a un chiodo dietro l’uscio». E in altra occasione con riferimento alla sua azione politica: «Una volta un pezzo grosso mi fa: qui siamo in Parlamento non in chiesa». E io dico: «Perché? Quando noi entriamo qui, deponiamo il nostro abito di cristiani all’appiccapanni?». Il cristianesimo tuttavia, pur essendo sempre quello, manifesta l’una o l’altra sua qualità a seconda dei bisogni dei tempi. Offre stili di vita diversi, e anche oggi si è cristiani tali da incidere nel vivere del mondo, se si sta a questo principio. Finora, per seguire la propria fede, si avevano a disposizione solo vie spirituali individuali.

Ma adesso è l’ora della spiritualità comunitaria. Ne hanno trattato teologi come Rahner e Paolo VI, il quale affermava che ci sarà sempre la possibilità della perfezione dell’individuo, ma che questo è tempo d’una perfezione collettiva che può arrivare ad essere «santità di popolo». Vie comunitarie, vie collettive dunque. Vie cioè da percorrere insieme con i fratelli, con le sorelle. E noi con gratitudine sappiamo – ne ho accennato più volte – che Dio è intervenuto oggi, perché possa aprirsi una tale via attraverso il carisma dell’unità, garantito dal discernimento di chi ne ha l’autorità e collaudato, già da decenni, allo scopo. Esso insegna veramente come vivere la fraternità, quella vera, profonda, costante, perseverante. Come rimetterla in moto ogni qual volta s’arenasse.

E come viverla non solo fra persone cristiane, ma anche con quelle di altre fedi e pure con quelle di culture diverse anche senza un riferimento religioso. È un carisma che domanda approfondimento, allenamento, che esige un percorso, un cammino. E ciò è logico se pensiamo quanto imperi oggi l’individualismo, come l’attuale cultura ignori la fratellanza e quanto il nostro io la contrasti. Ora, proprio mentre si svolgeva il nostro Congresso internazionale a Castel Gandolfo nel giugno del 2000, circostanze provvidenziali ci sono venute incontro, offrendoci la possibilità di usare un luogo centrale e vicino al Parlamento, per qualche contatto con e fra politici, parlamentari o altri vicini ad essi. E cosa vi si potrà fare? I politici italiani e non solo, potranno incontrarsi lì, se credono e quando avessero un po’ di tempo, non certo, si è capito, per un approfondimento dell’arte politica di cui sono maestri, ma per approfondire questo carisma dell’unità e di fratellanza, che sta iniziando a suscitare un importante rinnovamento aprendo nuove possibilità, in molti altri campi del vivere umano: in quello economico, ad esempio, dell’arte, dell’educazione, della sanità, della cultura e di altri ancora.

E, per questo, si troverà presente nel Centro chi fra noi può essere abilitato a dare una mano. Ci si potrà incontrare anzitutto per conoscersi più e meglio, base essenziale per stimarsi e amarsi di più, gettando così ponti per la fraternità; per scambiare idee, per comunicarsi pareri ed anche per confidarsi – perché no? –, nel nostro spirito, su argomenti strettamente politici. Questi incontri – che saranno periodici – serviranno a far in modo che, se cristiani, Cristo viva in questi signori e fra loro, e sia la fonte e l’ispiratore della loro azione politica. E, se non lo fossero, a raccordarsi su quei principi universali e su quei valori umani che sono presenti in tutti, nel fondo della coscienza, e che Cristo in quanto uomo ha condiviso in pieno ed ha convalidato. Il carisma dell’unità, che ha fatto nascere un’Opera nella quale sono presenti persone d’ogni credo e cultura, ha dimostrato d’essere in grado di creare fraternità fra tutte le persone purché di buona volontà. Ecco. È tutto qui in pratica ciò che volevo e potevo dire, ciò che possiamo offrire. Che sia accolto come un dono, come un servizio alla nostra Patria, all’Italia.

CHIARA LUBICH