Crisi democratica e partiti, investire sulla scuola
Ripartire dal basso, con nuovi percorsi di partecipazione e rappresentanza per vincere cinismo, lobby e disinteresse
Dopo la pandemia e il governo di emergenza Draghi, dopo aver indebolito le istituzioni a favore di partiti personali e leader non riconosciuti da una stabile e larga maggioranza, come possiamo rafforzare il sistema politico italiano? Abbiamo bisogno di un Parlamento più forte perché più rappresentativo, di città e Regioni più forti con territori curati da una governance condivisa, di istituti di controllo indipendenti, dai media alla Magistratura, di un governo politico autorevole, dopo il ritorno delle diversità tra centrodestra e centrosinistra. È questa la riforma dei partiti e delle istituzioni da fare durante il governo di emergenza entro il 2023. Accanto a vaccinazioni di massa, attuazione responsabile e onesta dei progetti del Pnrr, dobbiamo ricostruire il tessuto democratico del Paese. Questo è il compito della Politica. Allora diviene fondamentale partire dai cittadini, dalla loro educazione civica come protagonista nelle scuole. Paolo Pombeni lancia una proposta chiara con un editoriale de Il Messaggero del 20 agosto. Dopo banchi, Didattica a distanza e Green pass è ora di tornare a parlare di temi educativi fondamentali per una scuola in presenza.
La pandemia ha messo a nudo eccellenze civiche e professionali ma anche le carenze di educazione alla responsabilità sociale di larghe fette della popolazione. Prendiamo atto della mancanza di Educazione civica nelle scuole dopo l’introduzione come materia Cenerentola nel 1958 ad opera di Aldo Moro, ora rilanciata di nuovo ma con scarsa consapevolezza dei contenuti.
Oggi è evidente il conflitto tra individualismo e responsabilità sociale in tema di vaccinazioni e di uso di mascherine e distanziamento. Una minoranza consistente di cittadini non si sente parte responsabile di una comunità nazionale.
Difficile non ricondurre alla scuola la debole formazione civica all’etica pubblica. Sta pertanto ai docenti recuperare il senso di una missione educativa all’idem sentire in una comunità di destino, a partire dal loro esempio nel vaccinarsi senza rincorrere a fantomatiche dittature sanitarie.
Non dimentichiamo poi il ruolo educativo della scuola rispetto a famiglie e comunità locali, a partire dalla giusta considerazione della scienza e del necessario pensiero critico. Ci attendiamo in autunno una svolta verso un’educazione civica diffusa nelle scuole, veicolata nei patti di comunità, non per imposizione ministeriale ma sotto la spinta di una convinta opinione pubblica.
Come in un dopoguerra, sta ai partiti indicare ai cittadini orizzonti di ricostruzione e di speranza. Purtroppo essi si presentano deboli all’appuntamento con la storia. Sembrano senza voce sotto il peso dell’autorevolezza di Draghi. La crisi afghana, la crisi dell’Occidente li trovano senza grandi apparati ideologici con i quali cercavano di orientare l’opinione pubblica e i moti popolari.
Durante la crisi pandemica hanno poi assunto maggiore rilievo i leader rispetto agli apparati che riescono appena a lottare per la loro sopravvivenza. I partiti appaiono ridimensionati, come esautorati rispetto alle grandi questioni geopolitiche in mano ormai agli Stati e alle tecnocrazie.
I governi di emergenza e di forzata unità nazionale riducono lo spazio di manovra dei singoli partiti, che infatti, o sono in caduta libera o non superano la soglia del 20-21% nei sondaggi. A fronte di un 40% di elettori che si astiene non sapendo per chi votare. I partiti sembrano prigionieri del proprio passato, come afferma M. Calise (Il Mattino, 1 luglio u.s. ).
Speriamo ancora che approfittino della guida sicura ed eccezionale del governo per ritrovare la bussola politica, per riscoprire le tracce delle loro radici sociali. Sicuramente devono reiventarsi una classe dirigente in grado di affrontare le sfide storiche del post-pandemia.
È vero che i tempi ci consegnano la crisi di tutti i partiti come motori del sistema in Europa. Troppi partiti personali del leader. Dietro i leader, stanchi gruppi dirigenti che guidano la macchina organizzativa come organismi parastatali di un ceto professionale della politica lontano dai cittadini. La statalizzazione dei partiti descritta da Peter Mair, che frena l’innovazione. Nessuno però sa come rimpiazzarli in una democrazia partecipativa e deliberativa. Ai tempi della democrazia del leader, i partiti rimangono impacciati in un gioco che non governano.
Eppure oggi abbiamo bisogno di un sistema politico normale, con un sistema elettorale che consenta ai cittadini di scegliere rappresentanti e maggioranza, congressi veri per far prevalere una linea e relativa leadership collegiale, un rapporto Stato-Regioni meno bizantino e non in mezzo al guado tra centralismo e federalismo. La stessa selezione dei parlamentari, come espressione di un cursus honorum collaudato tra amministrazioni locali, Terzo settore, mondo della cultura, delle formazioni intermedie e Parlamento, è messo in discussione da liste bloccate scelte da capi in grado alla fedeltà personale e non alle capacità.
Occorre ricostruire il rapporto tra eletti ed elettori e riformare in ogni caso la Pubblica Amministrazione per compensare in parte la debolezza dei partiti con una buona classe dirigente amministrativa.
Abbiamo bisogno di una politica di qualità, capace di innovare profondamente la democrazia in crisi in molti Paesi, di ispirare nuovi percorsi di partecipazione e rappresentanza, vincendo cinismo, lobby e disinteresse. Il rischio altrimenti è di avere un potere senza popolo e un popolo senza potere, una crisi permanente della democrazia italiana con un governo Draghi non più emergenziale ma che si estende al futuro. Le grandi sfide globali del cambiamento climatico e transizione ecologica, della transizione digitale ci impongono di uscire rapidamente dal teatrino della politica italiana.
Il cambiamento può avvenire dal basso, anche con una avanzata dei candidati civici, per selezionare potenziali buoni amministratori nelle città. Può essere un’occasione per allargare il campo dei partiti verso il civismo, verso gli ecologisti fino a rafforzare i partiti con nuove forme di attivismo, mutualismo e partecipazione, con il coinvolgimento dei giovani e del volontariato, raccolta fondi, radicamento sul territorio.
Silvio Minnetti da Città Nuova