Domenico Mangano

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1 Gennaio 2020

“Domenico ha saputo vivere con pienezza… e ha trasmesso a tanti la sua passione per l’unità, valorizzando ogni momento del vivere quotidiano” Chiara Lubich

Domenico Mangano (1938-2001): laico impegnato, politico combattivo, cristiano autentico, decide di spendersi per costruire “frammenti di reciprocità”, di condivisione e di dialogo, nella società in cui vive.

Fu consigliere comunale a Viterbo, la sua città nel Lazio, per tre mandati consecutivi, ricoprendo anche l’incarico di assessore alla sanità ed ai servizi sociali. Domenico era convinto che proprio la realtà comunale, anche la più piccola, fosse il vero laboratorio della politica. Il suo atteggiamento era mosso dalla convinzione che vi fossero, dietro un avvilente immagine generale, potenzialità inespresse, ed amava chiamare “cristiani anonimi” quei colleghi che, a suo giudizio, nutrivano ricche idealità nascoste.

Facendo leva su questa tensione che credeva presente in tutti, anche se, a volte, sopita, riuscì più volte far uscire dalle secche di una deriva il consiglio comunale della sua città: come quando riuscì a dare soluzione alla decennale questione delle terme cittadine, rilancio riportato oggi, come azione attesa e meritoria, sui depliant della città. Suscitò un coro di consensi fra i colleghi di tutti i partiti.

Chiamato a riportare in giro per l’Italia l’esperienza viterbese, spiegò il difficile segreto con molta lucidità: “Guardiamo la natura: ogni albero, di questi tempi, viene potato, cioè privato di qualcosa di proprio, perché a primavera gioisca del suo nuovo splendore. Anzi, senza la potatura sarebbe destinato a morire. Così noi amministratori: se ci potiamo del superfluo, di ciò che non è essenziale, se soffriamo per trovare su ogni progetto l’accordo di tutti avendo come fine il bene comune, allora anche noi assisteremo nei nostri consigli comunali ad una nuova primavera. Ma se non ci potiamo, come l’albero anche i nostri partiti, le nostre amministrazioni rischiano di morire.”

Un giorno Domenico si trovò a spiegare ad un gruppo internazionale di ragazzi cosa intendesse per polis, e quale poteva essere il contributo di ogni cittadino, a cominciare dai ragazzi: “Quando vi impegnate per la pace, o in favore dei poveri, voi fate politica. Politica deriva da polis, una comunità che si amministra come se fosse un famiglia, in cui io vivo e contribuisco al suo funzionamento. Così sarà nella polis, dove i miei comportamenti produrranno l’armonia piuttosto che la confusione. Se mi comporterò con le cose pubbliche come mi comporterei con le mie, creerò armonia: pagare il biglietto dell’autobus, mettere il casco andando in motorino, non sporcare i muri con scritte, non gettare carte sulla strada… Aderire alla politica è dunque diventare pienamente cittadini. E contribuire a trasmettere anche a tanti altri questa determinazione: come? Non solo amando le cose materiali della mia città, gli alberi, la scuola, la strada, ma amando le persone che vi vivono: il tranviere, perché porta cinquanta persone alla volta là dove devono andare, il professore perché istruisce e forma nuovi cittadini, gli anziani seduti sulle panchine del parco, il meccanico, il poliziotto… Tutte queste persone sono la polis: sono tutte candidate a formare una comunità”.

La conclusione offerta da Domenico li fece sognare: “La città è come una rete, a volte ha dei buchi, a volte è proprio rotta perché manca una visione di amore, perché si pensa solo a se stessi. Se tutti scoprono la polis e fanno in modo che tutte le loro azioni aumentino l’armonia, allora questa grande rete, a poco a poco, si salda e si trasforma in un tessuto, diventa un manto, un manto azzurro. E’ questo ciò che la politica si aspetta soprattutto da voi ragazzi”.

Nel 1985 Domenico lasciò l’amministrazione comunale. Fedele al proposito di non ripresentarsi dopo tre mandati amministrativi, decise di non ricandidarsi per favorire un ricambio generazionale, senza assumere gli onori di qualche presidenza che avrebbe potuto spettargli. Lo attendeva, e cominciava ad esserne consapevole, la stagione di una nuova semina, quella di operare per quella stessa fraternità universale cui aveva dedicato fino ad allora le sue energie, ma a livello planetario.

La tappa fondamentale di questa sua nuova stagione politica fu il 2 maggio 1996. In occasione di un viaggio a Napoli, Chiara Lubich, presidente e fondatrice del Movimento dei Focolari, incontrando un gruppetto di rappresentanti politici, fonderà quello che oggi si chiama “Movimento politico per l’unita”.

Domenico commenterà più volte il significato fondamentale dell’intuizione, anzi, come amava dire, “dell’utopia su cui si fonda il “Movimento politico per l’unita”. Va detto che Domenico usava la parola “utopia” in modo appropriato, oltre che convinto. A Trento, in un pubblico dibattito, così si espresse: “Il “Movimento politico per l’unita” è un modo di stare insieme e di costruire la politica: è certo muoversi in sintonia ed è anche fioritura d’azioni cui partecipano politici e cittadini. Questo grazie al dialogo fra posizioni diverse: perché l’inizio del “Movimento politico per l’unita” è la diversità in dialogo. Ma è un grandissimo errore considerare esaurito il compito del “Movimento politico per l’unita” nel raggiungimento di un dialogo perfetto. Noi non siamo il movimento del dialogo: noi siamo il “Movimento politico per l’unita”. Il dialogo è solo un mezzo per raggiungere il grado successivo che è l’unità delle diversità”.