Tommaso Sorgi
Riportiamo una intervista testimonianza rilasciata nel 2009 al Centro Igino Giordani
sul percorso di una vita esigente nella ricerca del vero e del giusto con l’invito a ritrovare la strada di una “politica casta”
Raccontaci qualcosa della tua infanzia…
Sono nato a Campli nel 1921, il 12 ottobre. A tre anni ci siamo trasferiti a Teramo perché mio padre, che era falegname, è stato assunto da una ditta, Abruzzi, che costruiva i pullman che non erano tutti in ferro, lui si occupava della parte in legno. A Teramo trovai una vecchietta, donna Maria Gianpalma, che non si era sposata per dedicarsi tutta alla chiesa, era una santa, lei mi insegnava il catechismo, ma anche la storia sacra, la scriveva ed io la imparavo a memoria. Lei mi ha aiutato a maturare la decisione di andare in seminario. Anche io ci pensavo: mia madre raccontava che da piccolo prendevo una sedia, ci mettevo i santini e facevo il prete… Lei mi coltivò questa vocazione e addirittura, quando entrai in seminario, lei mi pagava la retta, quindi sono stato beneficiato da lei
A che età sei entrato in seminario?
A 11 anni, finite le elementari, andai a fare l’esame di ammissione al ginnasio, – perché prima non si chiamavano medie -, così fui promosso per essere ammesso alla scuola media e invece di farla alla scuola pubblica, la feci al seminario a Teramo. Dopo i cinque anni a Teramo andai a Chieti al seminario regionale, per fare il liceo, un liceo diverso dai soliti licei dello stato, era un liceo filosofico, né scientifico, né classico perché aveva l’impostazione del classico dove si studia la storia della filosofia e anche lì si faceva, ma in più ogni giorno c’era una lezione di filosofia in lingua latina, la logica minor del primo anno con i sillogismi, la critica maior per sapere che cosa è la verità…
Tutto in latino, quindi il latino bisognava possederlo al massimo…
Tanto che studiavamo il latino, le lezioni si ripetevano in latino, alla fine dell’anno si faceva la disputatio, toccò anche alla nostra classe e io dovevo dirigere, dicendo tutto in latino, tanto che ti posso dire che mi ero abituato a pensare in latino, certi periodi mi venivano prima in latino e poi li traducevo in italiano, il latino è potente, sintetico. Cominciai il primo anno di teologia, nel frattempo si era maturato qualche dubbio sulla vocazione, mia madre si era accorta del mio tentennamento. (Quando uscii dal seminario, dato che gli studi fatti lì non erano riconosciuti, mi ritrovai con la licenza elementare e l’esame di ammissione al primo ginnasio, così si chiamava, la scuola media è venuta dopo.) All’inizio di ogni anno in seminario a Teramo si facevano tre giorni di ritiro spirituale, al regionale sette giorni di esercizi spirituali, secondo la regola di sant’Ignazio, sette giorni di meditazione di silenzio totale, non parlavamo tra di noi, le parole che dicevamo erano cantando i salmi e rispondendo alla messa: posso dire che ci stavo bene, c’era però un difetto grosso, in seminario, era proibito amare il fratello, per timore delle amicizie particolari, quindi tra di noi non c’era nessun rapporto, ognuno aveva il rapporto con Dio. La quarta volta che facevo gli esercizi spirituali, c’era un predicatore, il quale cominciò il primo giorno con: “mulier ruina ominis”: ti metteva una specie di ossessione, otteneva l’effetto di turbarti… Parlando a lungo con un responsabile mi convinsi che quella non era la mia strada, quindi me ne andai con grande dispiacere del vice rettore, che mi voleva bene e mi apprezzava e anche dei compagni che mi dicevano “Tommaso che fai?”. Io dovevo essere sincero con me e con la chiesa, e non potevo andare avanti se non me le sentivo, cosa avrei potuto combinare se non ero convinto? E così lasciai, era durante la guerra e dovetti cominciare a fare la licenza liceale e dovevo aspettare due anni per fare la maturità classica, però l’anno dopo potevo fare l’abilitazione magistrale, quindi in tre anni feci tre esami, poi mi iscrissi all’università cattolica.
E come è andata avanti con gli studi?
Mi laureai nel 1949 perché iniziai gli studi più tardi, con la guerra dovetti interrompere, mi iscrissi a Roma, feci il trasferimento dall’università cattolica al magistero di Roma, mi laureai con una tesi clericale “Il fondamento della sovranità secondo il principio teocratico”. Poi cominciai ad insegnare a Teramo. Dopo qualche anno la preside, che era un’appassionata della scuola ed era anche poetessa, mi affidò l’ultima sezione, la sezione dove erano tutte donne, di cui metà ripetenti: applicai una didattica particolare. Nel prepararmi agli esami per le magistrali avevo studiato un pedagogista famoso che parlava della disonestà di chi facendo lezione non teneva conto dell’ultimo della classe. Mi feci di questo un principio regolatore: il primo tema fu sul primo giorno di scuola, fu un disastro, i temi erano sgrammaticati, impiegai il tempo a correggerli uno per uno, rifargli la frase, era il compito in classe ma non diedi il voto, la seconda prova risultò meno sgrammaticata, ma povertà assoluta di idee: decisi di non dare neanche questa volta il voto, e dissi che cosa avrei detto io su quel tema, quindi glielo feci rifare, finalmente vennero dei temini un po’ più corretti e con qualche idea, qualcuno accettò i miei suggerimenti, quindi cominciai a mettere i voti, il voto più basso era cinque i più alti otto o nove, non contavo tanti errori tanti voti di meno, capivo che il voto non poteva essere punitivo, altrimenti non aiuta a niente, invece deve essere premiativo e quantomeno stimolare. Per scherzare dico che queste mie alunne, circa 30, si innamorarono tutte di me, lo dico per scherzare, in senso buono, mi volevano bene, nei compiti in classe dicevo alle ragazze di aiutarsi, mentre allora era proibitissimo, io le esortavo a farlo, oltre a far fare i compiti in italiano e in latino, facevo fare il compito di geografia e di storia, facevo delle domande, non sempre avevano tempo di studiare a casa così le costringevo a studiare a scuola; una volta incontrai un’alunna che aveva un cesto sulla testa: quando mi vide diventò tutta rossa. Allora le chiesi perché e mi disse che la mamma faceva la lavandaia, andava al fiume per lavare i panni e lei la aiutava, quindi non aveva tanto tempo di studiare. Io l’accarezzai e le dissi che non doveva vergognarsi.
Si fecero le elezioni nel 1953, fui eletto e dovevo lasciare le classi: le ragazze si misero a piangere. Fui eletto con grande meraviglia dei miei amici, nessuno pensava che io riuscissi, mi meravigliai io stesso di essere riuscito.
Parliamo del tuo impegno nella Chiesa
Quando uscii dal seminario mi resi conto che stavo passando da un ambiente protetto da tutti i pericoli del mondo per andare a finire in mezzo al mondo pieno di tentazioni, di mancanza di cristianesimo, quindi mi chiesi come potevo fare. Così mi rivolsi all’azione cattolica, già stando in seminario avevo preso contatti, quando stavo nel seminario diocesano ero il delegato delle missioni, quando andai al regionale nella mia classe mi fecero responsabile dei contatti con l’azione cattolica di Chieti. Allora a Teramo l’assistente diocesano era don Lorenzo Di Paola, era stato il mio confessore al seminario diocesano, era parroco a Sant’Agostino, andai da lui e gli dissi il motivo e lui mi chiese “Figlio mio chi è l’azione cattolica? Sono io, sei tu, siamo noi” era successo che c’era una bellissima classe di dirigenti i quali erano tutti della terza liceo, presa la maturità classica erano andati via, chi a Roma, chi a Bologna quindi non c’era più quindi la classe dirigente. Allora mi chiesi cosa fare, mi fece vedere tutte le carte, guardando le carte vidi che c’erano pochi circoli di gioventù cattolica, nelle varie parrocchie, c’era la gioventù cattolica “Pier Giorgio Frassati” per gli juniores e per gli aspiranti, ma gli assistenti non c’erano, di questi di Teramo avevo gli indirizzi così cominciai a contattarli, non avendo i numeri di telefono, andai, casa per casa, a parlare con i genitori di questi ragazzi, per riprendere l’azione cattolica, i genitori erano contenti perché mi conoscevano, iniziai così a fare le riunioni degli aspiranti, degli juniores, facevo il presidente, l’assistente… mi sostituivo al prete che non aveva tempo, oltre che a Teramo andavo anche in altri paesi.
Parlaci dell’incontro con tua moglie Assunta, con Chiara e con Giordani
L’incontro con Assunta fu bello, mentre facevo apostolato la incontrai, Dio l’ha messa sulla mia strada: lei era presidente del circolo di azione cattolica. Assunta non era di cultura elevata, era una donna umile. Lei mi metteva come su un trono, precedeva nelle cose che mi servivano, non me le faceva chiedere, mi sono accorto che ci stavo seduto bene su questo trono, quasi ne approfittavo, quando ho conosciuto Chiara e l’ideale, mi sono reso conto che non dovevo utilizzarla, ma amarla, servirla perché l’amore vero è servizio, quindi sono cambiati i rapporti con lei, come primo punto.
La prima volta che mi si parlò di questo movimento nel partito sembrava che questo movimento portasse la rottura delle famiglie. Una mattina andai allo studio del dottor Gramenzi che era dentista ma anche responsabile del partito. C’era un cliente, nell’attesa Elsa, la moglie, si mise a parlare di questo movimento, io l’ascoltavo con un po’ di diffidenza e lei se ne accorse e disse “Questi uomini non si vogliono convertire”, lei mi chiese se conoscevo Giordani, le dissi che ogni tanto lo vedevo al parlamento, lui non era più deputato, ma era tornato lì a lavorare nella biblioteca. Mi disse Elsa di chiedere a lui di questo movimento di cui lei mi voleva parlare, le dissi di si più per liberarmene che perché ne fossi convinto. Pochi giorni dopo andai a Roma, mi recai in parlamento presto per lavorare, ed incontrai Giordani, gli dissi che a Teramo c’era la signora Elsa che mi aveva parlato di un certo movimento ma non avevo capito bene cosa era, gli chiesi se me ne poteva parlare lui. Ma in quel momento lui era impegnato, quindi me ne avrebbe parlato un’altra volta, tra me pensai che io gli avevo chiesto notizie, lui non mi aveva detto niente, quindi mi sentivo a posto.
Nel mese di agosto di quell’anno mi venne a trovare un’insegnante molto brava e famosa nella scuola media di Teramo, lei era impegnata anche nel partito per invitarmi ad un corso per intellettuali cattolici, (non mi disse che era la Mariapoli).
Quando andai a Fiera di Primiero, conobbi Chiara, don Foresi e vidi anche Igino Giordani (lì chiamato Foco): quando sentii che si chiamava così pensai: questo Foco per me non ha avuto neanche una scintilla. Chiesi alla signora come mai mi avesse invitato a questo convegno e lei mi disse che Giordani le aveva scritto da Roma dicendole che aveva conosciuto un deputato di Teramo, di cui non ricordava il nome, che gli aveva chiesto notizie del Movimento dei Focolari. Lui le aveva detto di invitarmi alla Mariapoli, così avrei capito: quindi è stato Foco che mi ha fatto andare su. (Conoscevo Giordani come scrittore perché quando stavo al seminario regionale mi ero abbonato a Fides di cui conservo ancora l’annata 1938, quindi vidi che era un battagliero.) Lui ha avuto più di una scintilla per me, perché ha pensato che se fossi andato, avrei visto e avrei capito. Infatti vidi una società diversa, tra l’altro c’erano molte donne e questo mi dava fastidio, perché in realtà c’era in me un maschilismo mascherato, non sapevo che le donne capiscono delle cose che gli uomini non sanno, dentro di me non ci ragionavo, ma era un impulso. Una mattina ho sentito Gesù che mi parlava: “Tommaso che vai cercando? Non ti ricordi che quando sono risorto da chi mi son fatto vedere prima? Da una donna! Adesso queste donne stanno annunziando anche a te che sono risorto pure per te”, era una voce dentro che mi diceva queste cose.
Il tuo incontro con Chiara?
È stato semplicissimo, rivedendola, dopo, mi sono reso conto che era una ragazzina, ma allora non vidi se era una ragazzina bella, brutta, giovane o anziana; vidi subito una cosa nuova, di una semplicità totale: parlava dicendo cose normali ma la luce era nuova, era diversa. Un mondo nuovo mi si presentava, la sostanza era questa: Gesù prima era di 2000 anni fa, adesso è Gesù risorto vivo che sta con noi.
Quale svolta ha avuto in te, uomo politico, questa nuova visione della realtà questo incontro?
Allora Chiara mi chiese di scrivere un articolo e lo scrissi su Città Nuova, che allora era dattiloscritta; scrissi questo: “Venivo da un mondo dove era mors tua vita mea, in politica si era eletti se non veniva eletto un altro, un partito vince se perdono gli altri, invece qui la cosa nuova era dare la vita per il fratello, non vivere sulla morte del fratello, ma morire per far vivere il fratello, quindi anche la politica diventò un servizio, un dialogo. Io prima ero un cane che abbaiava, forse non mordevo, ma le male parole che dicevo nei comizi contro i comunisti, i fascisti erano tante perché si polemizzava.
Dopo mi accorsi che era tutto sbagliato. Tanto che dalla Mariapoli scrissi alcune cartoline a delle persone che avevo offeso ed attaccato, tra le altre ce n’era una, un avvocato che era monarchico, lui in un comizio aveva detto “Questi democristiani che hanno fatto? Noi abbiamo difeso contro i comunisti, questi sono dei paurosi”. Io lo vedevo la mattina a San Domenico, che stava in chiesa e in un comizio dissi: “Questo che fa il coraggioso, sta in chiesa a battersi il petto, perché non viene qua a fare i comizi adesso?”.
Quando stavo in Mariapoli mi chiesi “Che pasticcio ho combinato?” proprio mentre stava in chiesa io lo avevo colpito. Non me la sentivo di scrivere a lui. Così scrissi a un altro che era il segretario del partito monarchico, di cui ero amico: gli dissi che avevo avuto un comportamento disautorevole, non da cristiano e gli chiesi di aiutarmi a fare pace con quell’avvocato, se lui vuole che io lo faccia anche pubblicamente lo farò, l’importante che io faccia pace con lui.
Quando tornai lo cercai, e mi disse che non serviva chiedere scusa perché lui già aveva dimenticato l’episodio.
Un confronto tra la politica di ieri e quella di oggi, come vedi questo nostro tempo?
Un giornalista bravo ha tirato fuori la casta politica, e io penso che qui ci vuole proprio una politica casta. Chiara ci ha detto di amare il partito altrui come il proprio.
Fonte Città Nuova